“Come stai?”
“Hai una domanda di riserva?” chiedo e … rido. Rido? Una risata breve che si smorza in quel ghigno che ha preso ormai quasi definitivamente il posto del sorriso sul mio volto. La malattia avanza … e segna il territorio conquistato.
Mai porre questa domanda a un parkinsoniano – penso mentre cerco lo sguardo del mio interlocutore per passare dal linguaggio verbale a quello gestuale, ben più corretto e vero, ma, proprio per questo, più intimo. L’altro/a si aspetta una risposta che spera, il più delle volte, sia convenzionale: quel “Bene, grazie” fasullo che tolga dall’imbarazzo, quell’imbarazzo che, quasi sempre, accompagna la verità. E dato che mi è stato insegnato, fin da bambina, a comportarmi come Dio comanda, recito quel “Bene, bene … grazie” che mette tutto a posto e … nulla in ordine.
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