E si incomincia a rivedere, rifinire, aggiungere, togliere. Più togliere che aggiungere. Troppi avverbi, troppe virgole. Anche troppe descrizioni, forse qualche dialogo ridotto o tagliato tout court. Incomincia a uscirti dagli occhi, ma non va, non va ancora.
Ti rendi conto che dovresti parlarne con qualcuno: qualcuno di cui ti fidi. Dovrebbe amare la lettura, essere uno che sa scrivere, ma non uno scrittore, avere la pazienza di Giobbe. Ci vorrebbe un editor, ma dove lo trovi? A stento sai cos'è e ti consigliano di essere prudente. Insomma è arrivato il momento di affrontare un primo giudizio di massima, dopo avere fatto il preliminare lavoro di revisione.
E tu hai una fifa blù.
Lo consegni, aspetti. E speri.
Indispensabile sarebbe farlo leggere a chi non ha remore a massacrartelo, il libro. E l'autrice? Se necessario anche quella. Ci si resta male, ma il lettore, se preparato, dà suggerimenti e fa critiche che, se non ti stroncano invitandoti a darti all'ippica, andrebbero ascoltate, riascoltate e risentite. Nove su dieci, molte sono valide.
Ti senti una cacca e ricominci: a rivederlo. Di nuovo.
Lo dai da leggere a altri.
I parenti spesso plaudono alla scrittrice. Diffidarne.
Qualcuno ti consiglia di lasciarlo riposare. Come il vino? Sì, ma non troppo, potrebbe andare in aceto.
Incominci a chiederti se non sia una sfiga nera avere questa passione travolgente per la scrittura, mentre lo rivedi per la quinta volta, e lo metti nel cassetto temendo che possa essere la sua collocazione definitiva.
Tanto lavoro per nulla? Non saresti la prima. Migliaia di sogni - pardon libri - finiscono nei cassetti.
Ora però gli amici ti chiedono scherzosi "A quando la pubblicazione?" e allora passi alla fase due, digitando per la prima volta sul tuo computer "Casa editrice" e non hai ancora idea, povero tapino, del ginepraio nel quale ti stai cacciando.
E per l'esordiente e ingenuo scrittore ha inizio il viaggio nel mondo dell'editoria, uno degli ultimi gironi dell'inferno, quello in cui sarà condannato a spedire lettere, costate lacrime e sangue con accluso manoscritto, a editori che non risponderanno nemmeno con un "Fa schifo!" Non risponderanno e basta!Ho il sospetto, che si rivelerà prontamente certezza, che nemmeno leggeranno.
Il silenzio calerà sul tuo romanzo, impenetrabile come un muro di nebbia, e come su un muro di nebbia rimbalzano luci e suoni, così tutti i tuoi sforzi per farti pubblicare s'infrangeranno su porte per te sprangate sul nulla.
" Uno su mille ce la fa" e novecentonovantanove trovano soluzioni più o meno fantasiose.
Gli irriducibili se lo faranno stampare a spese proprie, o "con un contributo" alle spese su suggerimento dell'editore. Sono quelli disposti a tutto pur di vedere il proprio nome su un libro. " L'ha fatto anche Moravia" ti dicono. Vabbé, se è per questo l'ha fatto pure Pasolini, ma non mi sembra un motivo valido. Come gli illustri predecessori questi ci credono proprio al fatto di essere bravi. Incompresi, ma bravi. Bisogna tirare fuori da sé anche l'arroganza, a patto di possederla. Poi ci sono quelli che ai dannatissimi editori - che considerano la scrittura, nella fattispecie la nostra (sic), arte, un investimento valutabile in termini di capitale impiegato, rischio assunto, e possibile ritorno in termini di profitto nonché confronto con investimenti alternativi - sputerebbero in un occhio, e quindi si rifiutano di scendere a patti, affermando perentori che il loro romanzo tornerà dove in fondo è sempre stato: nel cassetto. Lo leggeranno figli e nipoti. Meglio che niente.
Ci sono poi i " prezzemolini": quelli che con sette, otto copie sotto braccio, s'infilano in qualunque luogo dove ci sia una manifestazione libresca, si consegni un premio, si parli, a qualunque titolo, di libri. E, con un po' di fortuna, chissà, potrebbero riuscire a incuriosire qualcuno che, trovandosi quel manoscritto tra le sue carte, magari un'occhio potrebbe finire per allungarlo.
Confesso che ho pensato, spesso con sollievo, che per me è stata un'avventura, esaltante ma comunque un'avventura, decisa e capitata in un'età in cui si pensa più all'ospizio che al successo. La vita, quasi tutta alle spalle, con l'inevitabile saggezza che questo comporta, mi hanno indotta ad alcune rapide considerazioni: in fondo ideologicamente sono per la fruibilità di tutto ciò che è bello(ammettendo che quello che ho scritto sia tale) da parte di tutti, onde e per cui, se a qualcuno dovesse interessare, darò modo di scaricarlo da internet. Non è questo lo spirito del blogger?
Ultima cosa: sono una curiosa e alla fin fine mi piacerebbe avere una risposta alla domanda che non ho mai smesso di pormi: " Cos'è che fa di uno che scrive uno scrittore, e io cosa sono? Scrittrice o scribacchina?"