Veniva giù con l'abituale leggerezza già da qualche ora, profilando di bianco i rami del pino che come una sentinella montava la guardia alla sua finestra. Si meravigliò pensando fosse una nevicata troppo abbondante per un inizio d'autunno. Da quando usava il bastone e i suoi passi si erano fatti cauti, la temeva, lei che aveva sempre accolto la neve con gioia e con la stupita meraviglia di una bambina.
Con i suoi lenti fiocchi scendevano su di lei anche i ricordi, o meglio salivano riportadole alle narici l'odore della legna che in quell'inverno lontano, nella casa piena di gente, parenti e bambini, ardeva nel caminetto, mescolandosi al profumo aspro di pece che l'albero di Natale, in un brillio di luci e addobbi d'argento, diffondeva nella stanza. Lei, l'onda chiara dei capelli che le scendeva sul viso a celare lo sguardo che tradiva l'eccitazione e la paura, con la mano nella tasca tastava quella lettera stropicciata ributtando indietro, ingoiando quelle poche parole che cercavano l'aria, crescendo dentro di lei con il passare delle ore e invadendo ogni angolo del suo corpo, ogni centimetro della sua pelle, incontenibili e ribelli.
Anche gli occhi dei bambini brillavano, mentre in cucina le nonne litigavano sul grado di cottura del cappone guardandosi in cagnesco... Lei si era avvicinata alla finestra e la pennellata bianca sul davanzale l'aveva raggelata. Nevicava fitto e alzando gli occhi verso il cielo un turbinio chiaro le aveva fatto capire che entro poche ore le strade sarebbero state impercorribili. Si era sentita in gabbia, prigioniera. Voltandosi, angosciata, aveva mormorato "Nevica che Dio la manda!" mentre le si piegavano le spalle, quasi quella nevicata, per uno strano scherzo di natura, avesse deciso di concentrarsi su di lei. Sua madre, tutta allegra, aveva commentato: "Abbiamo cucinato tanta di quella roba che potremmo restare qui a mangiare per una settimana" mentre i bambini, accompagnati dalla zia, scendevano in cantina a cercare lo slittino. I nonni si erano messi a rivangare le memorie del Trenta, quell'anno terribile, dopo la crisi di Wall Street, in cui l'inverno aveva dato con freddo e nevicate eccezionali il colpo di grazia a chi non aveva il lavoro e men che meno i soldi per la legna. Quando a mezzanotte, travestito da Babbo Natale, suo marito le aveva consegnato il pacchetto lei, scusandosi, aveva incolpato il cappone del suo mal di testa e, con il regalo in mano che appariva incartato alla meglio, si era ritirata nella sua camera.
Si era seduta sul letto. Sulla prima pagina del libro, nella scrittura nervosa e elegante del marito, una dedica "A te che vuoi volare... via?, cosa posso offrire per indurti a restare?"
Era nevicato per tre giorni e tre notti incessantemente: il cielo aveva stretto con suo marito un patto d'acciaio. Avevano finito le provviste. Nel camino, acceso giorno e notte, avevano bruciato quasi tutta la legna che stava in cantina e i bambini per divertirsi avevano fatto pallottole di carta con l'imballo dei regali, facendo a gara per gettarle nel fuoco. Lei, trascinata a giocare, aveva messo la mano in tasca e aveva appallottolato la lettera. Mentre il fuoco avvolgendo la carta inceneriva progetti e parole in una spruzzata di scintille che il camino ingoiava, il marito alla finestra aveva mormorato: "Ha smesso di nevicare, ragazzi". Poi, fissandola, aveva aggiunto "La tempesta è passata".
Era morto due mesi prima. La vita è strana, lei pensò, e l'ultima tempesta era stata quella. Questa era solo una nevicata.