La luce di settembre filtrava dalla finestra, chiusa da una grata, e i nostri passi di bambini sollevavano nuvole di polvere che, intercettate dal chiarore, svelavano un pulviscolo dorato in movimento. Mia sorella e io eravamo andate a trovare degli amici di famiglia che avevano appena traslocato e, con i nostri due amichetti, stavamo esplorando la soffitta della nuova casa. Nel locale, quasi vuoto, un baule troneggiava. Chiuso, anzi come verificammo tentando di aprirlo, sprangato.
Giovanni - il grande del gruppo - il volto che tradiva la delusione, ci saltò sopra battendo i piedi con rabbia: toc, toc... toc, toc e, pausa stizzita, toc finale con piroetta. Si udì uno scatto e mentre Giovanni balzava a terra, il coperchio del baule si sollevò lentamente con un cigolio che sembrò fremere nell'aria, mentre tuttti e quattro ci sporgevamo, la curiosità e la meraviglia che s'incrociavano nei nostri sguardi, a osservare.
C'era una divisa dell'esercito: grigia, i profili neri: la croce uncinata ci fece capire subito a chi fosse appartenuta. Perfettamente stirata e spazzolata era riposta con cura.Sotto, avvolto nella carta velina, prese vita tra le nostre mani un abito rosso, impalpabile:la gonna plissettata e il corpino con le spalle al'americana, trasparente e accompagnato da una sottoveste di raso rosso. C'erano anche delle scarpe da donna con il tacco alto, un fiocco davanti e, in fondo, ancora qualcosa: un pacco di lettere legate da un nastro di velluto.
La voce di nostra madre ruppe l'incanto. Sprangammo il baule che si rinchiuse con un tonfo e scendemmo, ma ormai la curiosità ci ribolliva dentro e le lettere, nascoste in un posto sicuro, le leggemmo una dopo l'altra, nei pomeriggi passati a giocare, legati a doppio filo da quel segreto che avevamo giurato di non confidare a nessuno. E così scoprimmo la storia d'amore tra quell'ufficiale tedesco e una ragazza ebrea...
I genitori dei nostri amici, che erano ricorsi all'aiuto di un fabbro per aprire il baule, dopo averne ispezionato il contenuto, piuttosto delusi, lo lasciarono in un angolo e se ne dimenticarono, ma noi bambini continuammo le ricerche. E, a furia di chiedere, una mattina c'imbattemmo in un vecchietto che, durante la guerra, aveva abitato in quella zona. Ricordava quasi tutto di quegli anni terribili, anche quella retata di ebrei fatta dalle SS naziste. Noi bambini lo ascoltammo increduli con il fiato sospeso ripescare nella memoria il ricordo di quella notte di terrore mentre, davanti ai nostri occhi, prendeva forma il balenare degli elmetti. Quasi ci sembrò di udire le urla, i latrati dei cani, mentre lui diceva:" C'era anche una ragazza, giovane, grandi occhi scuri, i capelli corti, a riccioli. Singhiozzava, il padre le gridò 'Scappa...Scappa' e lei fuggì".
"Quindi si salvò?" e la mia domanda era sulle labbra di tutti e quattro noi bambini.
"No, un soldato puntò il mitra, il padre della ragazza si gettò su di lui. Si udirono degli spari e, pochi minuti dopo la camionetta ripartiva...Padre e figlia erano al suolo".
Vuotando la soffitta, aveva ritrovato quelle lettere. Il camion del trasloco sarebbe arrivato tra poco e nella nuova casa, come ormai un po' dappertutto per mancanza di spazio, non avrebbe più avuto una soffitta, ma un pensiero le passò per la mente: il blog - strumento che non smetteva mai d'irretirla - poteva servire anche a delineare un passato, a dare corpo alla memoria collettiva, diventando "soffitta dell'anima" in cui i nipoti avrebbero frugato per ritrovare le tracce di un passato sconosciuto, dei segreti di famiglia, dei ricordi senza i quali il loro presente sarebbe stato scarsamente decifrabile e... piatto. Accese il pc portatile e incominciò a battere sui tasti.