Buongiorno dottoressa,
come sta? Come ha passato le feste? Chisà perché - come accade agli studenti quando tentano di "vedere" i loro insegnanti immersi in quella che potremmo chiamare ordinaria quotidianità - anche per noi pazienti è difficile immaginare voi, i nostri medici, alle prese con una cena bruciata, un noioso qualunque week-end, un innamoramento o un mal di pancia. Eh sì, dottoressa, non ha scelto una professione facile, Lei poi, in particolare, non paga di sguazzare tra malori e dolori, ha scelto(?) di curare l'incurabile: un cervello andato o che, più o meno lentamente, se ne sta andando in "pappa".
Le ho riferito, nel nostro ultimo incontro, che la mia memoria non funziona più molto bene.
"Memoria?" ha chiesto, celando a fatica una certa irritazione.
"A breve" ho subito aggiunto. Un po' impacciata ho precisato: "Dimentico le cose dal naso alla bocca".
Sì, lo so, non è un modo corretto di esprimersi, ma dà l'idea del problema: insomma, non dimentico il Natale del '67, dimentico il motivo per cui sono uscita in tutta fretta dalla cucina per andare nella mia camera, dove, ora che ci sono arrivata, mi guardo in giro con aria idiota, chiedendomi "Perché sono venuta qui?" e il mio cervello - da Lei studiato con tanta passione - non dà risposte. Dorme come un lattante sazio, lui, mentre io annaspo e, comunque, non ricordo. Nulla. Potrei racccontarle la storia di quell' armadio così bello e capiente, elencare gli oggetti contenuti nel cassettone: uno per uno, glielo posso assicurare, ma il motivo che mi ha indotta a uscire dalla cucina no, quello proprio non lo so.
"Sa, sono sempre stata 'sbadata', un po' - diciamo molto - distratta, ma ora, ora.... "
"Ora?" ha sottolineato Lei, e mai che le scappasse un sorriso. Mi ha guardata, aspettando.
"Ora... be', ora la situazione è peggiorata!" ho sussurrato, ma aggiungendo subito quel "Sarà l'età?" con il tono con cui chiederebbe un salvagente uno in procinto di annegare.
"In parte... " Lei mi ha risposto e mentre io borbottavo "Quale parte, quanta parte... ", in verità piuttosto agitata, lei scriveva una richiesta d'indagine mirante ad attestare eventuali difficoltà cognitive - o qualcosa di simile - facendomi capire che la visita si era già protratta ben oltre il dovuto e che fuori c'era la fila. In attesa.
Poi, fissandomi, mi ha chiesto: "Mi può lasciare il suo numero di telefono; potrei doverla chiamare... "
Sono in cura da Lei da anni, dottoressa, e non me l'ha mai domandato... Come mai, oggi - mi chiedo - mentre snocciolo sicura un numero dietro l'altro... ?
Lei rivolge uno sguardo d'intesa alla sua assistente che segnandolo sulla cartella clinica, ridacchia.
Perché non chiedermelo, perché non dirmi: "I numeri, le date li ricorda? Per esempio il suo numero di telefono?" Semplicemente, direttamente.
Quante volte ancora dovrò ripeterle che non sono un topo da laboratorio; sono malata (purtroppo), invecchiata (come tutti) ma non ancora scema: almeno non del tutto (test sui deficit cognitivi consentendo).
A presto, dottoressa e... buon fine settimana.