Sono quasi le sette. Albeggia, non nevica più in Emilia. La gatta appollaiata sul termosifone spalanca occhi tondi, gialli come i lampioni che illuminano la strada. Qualcuno sfreccia in macchina, veloce.
Comincia un altro giorno.
Tu cosa pensi, immobile nel tuo letto d'ospedale? All'intervento da subire, ai rischi, al dolore del risveglio, ingabbiato nell'intreccio dei tubi? O è la vita, la tua vita che ti scorre davanti agli occhi? Immagini rubate, qua e là: alcune chiare e recenti, altre fumose come cartoline d'epoca, lontane. Sullo sfondo Trieste, la "nostra" Trieste: amata e odiata, impossibile da dimenticare come la giovinezza, la nostra giovinezza che il vento si è portato via... Chissà dove e chissà quando.
Non pensare alla sala operatoria, amore mio, pensa a quella strada, poco più che una striscia sottile d'asfalto, quasi una biscia scura attorcigliata lungo i fianchi della collina, quella strada che costeggia vigneti bassi, zappati a mano, che danno grappoli piccoli di uva aspra, uva cresciuta nel vento... Come noi.
Ricordi la prima volta? La macchina s'inerpicava come un mulo di montagna, ansante e, a ogni curva, il panorama davanti ai nostri occhi si allargava, invaso da un'azzurro che senza soluzione di continuità univa mare e cielo. Ridevamo, di cosa non ricordo: gli innamorati ridono molto e, complici, scacciano la malinconia. Tu eri scuro di sole come uno zingaro, nero di occhi e di capelli... Io ti dicevo che sapevi di spezie, ricordi? Sulla mia pelle di bionda solo un'ombra dorata di sole. Eguali nell'imprevedibilità dei cambiamenti d'umore, diversi in tutto il resto: come il deserto e il mare Erano ancora lontani i litigi: quegli scontri furenti, cattivi, le offese e le minacce di non vedersi più. Mai più. Poi arrivava una tua lettera o una mia telefonata: "Sei tu?" Io tacevo, ma tu riconoscevi il mio silenzio...
Quel giorno d'estate, all'ennesima curva, ci si parò davanti un'osteria: pergolato verde di "fragolino", tavolini di ferro, tovaglie a quadretti azzurri e... mare. A perdita d'occhio. Nel piatto: peoci, sardoni fritti e "radicio triestin". Gusti dimenticati o, forse, inventati. Come la tua camicia azzurra e il mio vestito bianco, quella gonna a balze che, come una vela sul mare, si riempiva di vento.
Non sono più stata così felice.
Mai più.