Quando riapriva gli occhi le facevano ingoiare cucchiaiate di uno sciroppo amaro come il fiele. Andò avanti così per giorni, squassata dalla febbre, fino a quando, una mattina, Maria si sollevò, rizzandosi a sedere sul letto, e lasciando scorrere lo sguardo intorno a sé. Stranita. Quanti giorni erano passati vagando in quegli incubi che l'avevano collocata al di fuori del tempo e dello spazio? Ma ora guardandosi attorno riconosceva i luoghi, ritrovando i suoi punti di riferimento, gli oggetti che sancivano le sue abitudini, il volto della figlia, il brusio che saliva dal vicolo, i raggi del sole che s'insinuavano prepotenti nella stanza.
Era viva e aveva fame.
Teresina le cinguettava intorno descrivendole la disperazione di Sigismondo, le visite continue dello speziale che, tetro, aveva formulato le ipotesi peggiori tra cui anche la perdita del senno o della memoria...E, invece, ricordava tutto, anche quei terribili momenti, quando disperata si era gettata in mare. Maria non rispondeva: pensava. Ma davvero aveva deciso di uccidersi e la sua mente sconvolta le aveva fatto balenare davanti agli occhi il Moro, in tutta la sua prestanza, seminudo e bellissimo, per indurla a gettarsi tra le onde? O più semplicememte, e la sua natura pratica e spiccia la induceva a ritenerla l'ipotesi più valida, intonita dal sole, sfiancata dalla fatica della strada percorsa in fretta, digiuna, lo stomaco e la mente sottosopra per quella maternità che le piombava addosso in un momento già molto difficile, aveva avuto un mancamento credendo di vedere il Moro, soltanto perchè era a lui che pensava quando aveva perduto conoscenza?
Era stata al suo capezzale ad assisterla anche la madre che, dall'espressione cupa e dalle occhiate oblique che ora, muta e arcigna, le indirizzava, doveva aver saputo qualcosa o dalla servetta o da qualche sua frase mormorata nel delirio. Non gliene importava molto, si era salvata, stava bene e avrebbe fatto tesoro del suo tempo a venire. Aveva guardato in faccia la morte, forse per qualche secondo l'aveva seguita nel suo mondo di gelo e di nebbia, ma era riuscita a sfuggirle, lasciandole tra le dita soltanto quell'accenno di vita che si era portata in grembo. Ripensò a quel bambino che non aveva voluto, che aveva accolto come si accoglie un intruso, pensando soltanto a scacciarlo, e un dolore, che assumeva il sapore aspro del rimorso, le alterò lo sguardo. Sapeva, come ogni donna sa, anche se giovanissima o sventata, che quel bambino non voluto sarebbe rimasto nel suo cervello, carne della sua carne sarebbe riemerso a tradimento nei sogni, avrebbe alimentato gli incubi e se lo sarebbe portato dietro fino alla tomba, cercandolo e trovandolo in ogni sguardo o balbettio di bambino, perché ogni donna è madre nell'anima e nel cervello prima che nel corpo, e la maternità, struttura portante della sua identità - accolta, negata o anche soltanto fantasticata - ne costituisce l'essenza.