Non hanno sbarre né bugliolo né chiavistelli, soltanto letti
impilati uno sull'altro a mangiarsi lo spazio esiguo da condividere con altri,
eppure da queste prigioni non si fugge. Altro che Alcatraz e progetti di
libertà fantasticati, studiati e realizzati con l'happy end di prammatica.
Ci si deve
rassegnare a marcire in galera, innocenti. Altro che tre gradi di giudizio, non
c'è merito o competenza che tenga; una volta condannati si rimane lì, appesi a
sbarre inesistenti a sbirciare la vita degli altri vedendo scorrere le
stagioni: la prima rondine che riga di nero il cielo, l'ultima pioggia
d'autunno che ha già sapore di tramontana, l'acquazzone d'agosto che spegne
l'estate...
A volte ci s’illude
di scappare, si allunga un piede, ci si ferma esitanti, in attesa. Un alto
passo, un po' più sicuro. Un altro ancora e nessuno ci blocca.
E che ci faremmo
fuori?
Ciò che ingabbia
protegge o viceversa?
Forgiate dalla
paura, sbarre spuntano come funghi.
Crescono come pane
lievitato al caldo.
Si dovrebbe
rinascere con un altro carattere per fuggire da questo carcere di massima
sicurezza.
Non c'è grimaldello che possa liberare dalla sua prigione un'anima in
gabbia.