Erano amiche da tanto tempo, un'amicizia calda, sicura che attraverso percorsi diversi le aveva portate a condividere parecchie sofferte conclusioni alle quali erano pervenute in momenti diversi. Ora, sedute davanti a una tazza di caffè, chiacchieravano a ruota libera senza seguire uno schema preciso, privilegiavano quella comunicazione fatta di parole in libertà che si colorava, a effetto, di frasi in dialetto: ognuna il proprio.
"Te la ricordi Margherita? Il marito, che aveva un'amante, le aveva fatto credere che, nello studio dove lavorava , il responsabile avesse deciso - il momento è difficile e i clienti si devono corteggiare - di saltare la chiusura estiva, e, anche se con orari ridotti, di lavorare nei mesi di luglio e agosto" e Giovanna scoppiò a ridere, concludendo "così da poter giustificare, con un impegno di lavoro, improvviso eventuali ritardi. Ah, gli uomini... "
Lei sentì il caffè calarle sullo stomaco martirizzando la sua ernia iatale, mentre tentava di ridere, senza riuscirci. Poi, guardò l'amica e disse: "E' altamente improbabile che a Milano, con il caldo africano di queste settimane... La vita si ferma in questa città a luglio. Ad agosto, poi, sembra 'the day after'... "
Tentò di ridere: il risultato fu una smorfia pietosa mentre borbottava:
"Cristo! Perché non l'ho capito?"
Calò un silenzio imbarazzato.
Giovanna borbottò: "Quel porco, non dirmi che c'eri cascata... "
Lei si stava chiedendo se avesse per errore ingoiato varechina o acido muriatico al posto del caffè.
"Come ho potuto essere così stupida... "borbottò, mentre davanti agli occhi le scorrevano quelle immagini: lui che borbottava al telefonino mentre lei si allontanava per qualche secondo ma, appena la vedeva tornare, salutava, borbottando con fare seccato "una collega... " .Lei non gli aveva mai chiesto chi fosse e men che meno perché lo chiamasse con tanta frequenza, né per quale motivo lui, così evidentemente scocciato, non avesse trovato il modo di arginare quella invadenza. Non aveva dato il giusto peso nemmeno a quelle due cravatte nuove, al maglione di cachemire che si era comperato, lui che non entrava mai in un negozio e si faceva comperare tutto da lei.
Si fidava, si era fidata di lui, anche se ultimamente, quando parlavano lui spesso le era apparso distratto, svagato, quel sorriso un po' fisso sulle labbra e lo sguardo che la trapassava come se lei fosse diventata trasparente. Il buffetto sulla guancia alla sera, prima di girarle le spalle e addormentarsi, non l'aveva insospettita: lavorava tanto, molti straordinari. Possibile che non si fosse accorta che erano troppi?
"Che stupida!" balbettò di nuovo.
"Si pensa succeda soltanto agli altri" le sussurrò l'amica, ma lei non l'ascoltava, era già in piedi, voleva tornare a casa, frugare alla ricerca delle prove, aspettarlo e guardarlo negli occhi, tra le mani una camicia sporca di rossetto, che lei non aveva mai usato.
"Ti accompagno? Sei sicura di non... "
"Sicurissima" rispose, mentre entrava in macchina e partiva. A tutta velocità.
Il telefonino la distrasse e, rischiando di finire nel fosso, identificò il numero.
Era lui.
"Che estate di m...a! Farò tardi anche oggi... "
"Una riunione improvvisa?" lei gli chiese.
"Già, ti lascio, mi stanno chiamando".
Lei ti sta chiamando - pensò, mentre il morso della gelosia le stringeva la gola.
La giornata, intorno a lei, moriva.
Come la sua storia.
Scivolandole come sabbia tra le dita.