Suonava il telefono, insistente,petulante.
"Sì?"
"Ciao, sono Giorgio...Ti ricordi di me?"
Quel nome mi frullò nella memoria senza riuscire a collegarsi a un volto.
Breve impacciata pausa di silenzio che la comunicazione telefonica non consente. Poi, all'unisono, io" Non ricordo", lui "Trieste,l'università..."
"Non abito più a Trieste da trent'anni" e il rimpianto già mordeva.
"Nemmeno io, abito a Roma" .
Altra pausa di silenzio mentre dalla memoria spuntava un ragazzo magro, i capelli lunghi e ricci, l'eskimo e le clark.
"Ti ho vista su MySpace, una delle fotografie dell'album te la feci io. Ricordi?"
E ora i ricordi arrivavano come un fiume in piena. Nella testa mi esplose Trieste, azzurra di cielo e mare, malandrina di vento. Vento e giovinezza, che per me sono sinonimi, vento che mi faceva volare e ridere, quando ogni giorno era un'avventura per il solo fatto d'esistere, e la notte si aveva l'impressione che cedere al sonno significasse gettare via il tempo. E allora, nel collegio di monache dove avevo trovato alloggio con una decina di studentesse, bevendo caffè forte e nero, ce la raccontavamo fino alle prime luci dell'alba.
Eravamo tutte innamorate di qualcuno, io di Giorgio. Giorgio era uno dei capetti della contestazione che aveva contagiato anche l'università di Trieste. Io, venendo da una famiglia di sinistra, ero vaccinata contro gli slogan che mi arrivavano all'orecchio. Osservavo ciò che stava avvenendo abbastanza freddamente, seccata soprattutto di essere collocata sistematicamente in secondo piano rispetto alle contestazione e ai mille impegni che comportava. Qualche anno dopo avrei aderito con ben diversa partecipazione al femminismo dopo aver provato l'emarginazione femminile sulla mia pelle, passando anche attraverso l'esperienza insostituibile della maternità. Ma, in quegli anni universitari, la vita era solo promesse e progetti e speranze.
E, soprattutto, per me era libertà. Gli anni più belli della mia vita, in quella città dove essere donne ti dava una marcia in più.
" Giorgio?" mormorai, aggiungendo" Ora ricordo"
Lui rise. " Ne hai messo di tempo" aggiunse.
Altra lunga pausa di silenzio.
Entrambi persi dietro ai ricordi, con quel retrogusto di malinconia che i ricordi lasciano, soprattutto a Natale.
" Di te so molte cose perché leggo il tuo blog..." e poi in fretta, quasi a giustificarsi, "Sei sempre la stessa"
" Anche tu" pensai, ma senza dirlo.
" Beh, tanti auguri" lui concluse.
" Anche a te"
" Ci sentiamo?"
" Perché dovremmo?" pensai di nuovo, mentre rispondevo banalmente" E' possibile"
Poi il tu, tu della cornetta abbassata.
" Sei sempre la stessa?"
Non cambia la struttura portante della personalità ma, se trent'anni di vita se non ti hanno cambiata nemmeno un po', cosa diavolo li hai vissuti a fare? Per carità di patria non gli ho chiesto cosa facesse, cosa fosse diventato. Non me la sono sentita di fare domande per paura di doverlo annoverare tra i molti contestatori da strapazzo che vissero la contestazione come un gioco, e, poi, si accaparrarono saldamente le loro poltrone alle quali sono ancora tenacemente avvinghiati.
A volte basta una frase per capire.
Una frase soltanto.
Mi lasciò per una morettina adorante che lo seguiva come un'ombra, pendendo dalle sue labbra.
E ci feci pure una mezza malattia...
Io lo contestavo duramente, lui non ammetteva di essere contraddetto.
Diceva che le donne sono illogiche, poco razionali, possessive...
Lui: il contestatore che avrebbe dovuto cambiare il mondo!
E l'Onda? Si è già smorzata trascinando con sé soltanto una manciata di conchglie?
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