Era scura la notte, e fredda, e silenziosa. Si guardò attorno, un guizzo di paura negli occhi chiari che scrutavano la strada diritta e vuota davanti a lei. Affrettò il passo, concentrandosi sul rumore dei tacchi che rimbombavano sull'asfalto. Sentì un fruscio alle sue spalle: il cuore accelerò il battito, il sangue le salì al cervello, mentre il passo si faceva veloce. Non osava voltarsi. Intorno a lei grigi palazzi privi di luci incombevano sinistri. Passò una macchina, veloce, preceduta da una sciabolata di luce gialla, un'ombra scura al volante più intuita che vista. Voltò la testa a destra: nulla. A sinistra, tutto tranquillo! Facendosi coraggio, si girò per controllare il marciapiedi alle sue spalle. Qualcosa si mosse nell'oscurità, mentre la notte estiva si animava di un suono lamentoso e le sue mani si stringevano a pugno. Gli occhi, spalancati, cercavano di penetrare il muro d'ombra che la circondava. "Miaooo!" Un gatto, solo un gatto, il pelo del colore della notte e gli occhi gialli e tondi che la fissavano.
Il battito del cuore si chetò, deglutì sollievo e saliva, riprendendo veloce a camminare. Ancora qualche metro: numero civico 18, poi il 20. Girato l'angolo, il portone di casa sua, debolmente illuminato dalla luce che filtrava dall'androne. Aprì la borsetta, rovistò alla ricerca delle chiavi. Dove diavolo si erano cacciate? Intorno a lei la notte sembrava animarsi di fruscii e sussurri. Sentì sotto le dita l'acciaio del portachiavi: aprì di furia, s'infilò nel portone come una ladra, chiudendoselo alle spalle.
Emise un lungo sospiro di sollievo lasciando ricadere le spalle contratte.
Era stanca: il lavoro al call-center le provocava quell'indolenzimento al collo. E, poi, scesa dall'autobus che la riportava a casa, doveva affrontare quel tratto di strada buia che la terrorizzava. Meccanicamente alzò la mano e premette il pulsante dell'ascensore: nell'attesa socchiuse gli occhi. La porta si aprì: una mano l'agguantò, un'altra le tappò la bocca.
"Occupatene tu". Il carabiniere assentì, poi, rivolto alla donna infagottata nella giacca a vento, le braccia incrociate in un gesto contratto e inutile di difesa, chiese: "Giovanna, nome. Il cognome?" Lei mormorò qualcosa, passandosi le dita sul labbro spaccato.Il ticchettio della tastiera disegnava parole nere sul monitor, fitte come gocce di pioggia che rigassero di fango un vetro già sporco:"Denuncia numero 1810, presentata da Giovanna Ludovisi, anni 28. Reato denunciato: violenza sessuale".
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