domenica 18 gennaio 2009

Nostalgia

Era una giornata d'inverno. L'aria, tersa come cristallo, aveva già in sé, appena percettibile, sentore di primavera, di viole sbocciate sui bordi dei fossi. Noi ragazze, ospiti del collegio di monache abbarbicato alla collina, la sentivamo sulla pelle, ci scorreva già nel sangue, dandoci un'eccitazione che ci impediva di dormire.
Scendevamo alla sera nel giardino del collegio, gettavamo sull'erba una coperta, poi, lente, venivano a galla le confidenze, le storie di famiglia che s'intrecciavano con i progetti, le speranze e i problemi. Ci portavamo il thermos del caffè, si fumava una sigaretta, perfino io che ho sempre odiato farlo, tiravo una boccata.
Non avevamo mai sonno.
Al mattino a turno, una di noi si alzava e preparava la moka. Il caffè era forte e amarissimo per obbligarci a saltare giù dal letto e studiare. Le stanze al nostro piano si animavano. Svolazzavano, bianche e nere come rondini, le monache. Una di loro, una suorina giovanissima, saliva, invitandoci al silenzio. Sulla porta delle stanze frusciava quel suo 'sst, sst' che noi ignoravamo.
Avevamo tutto in comune: il rossetto, i maglioni, i primi jeans - che ci infilavamo stendendoci sul letto perché li portavamo aderentissimi, quasi fossero una seconda pelle - gli amori che, spesso, erano non corrisposti o furiosi. Eravamo giovanissime e intatte, belle di quella bellezza che dura un soffio, inconsapevole e, quasi un presagio di sventura a venire, venata di malinconia.
A volte scoppiavano liti feroci che facevano emergere rivalità sotterranee. La più bella, la più intelligente doveva fare i conti con l'invidia femminile che già segnava caratterialità che si andavano definendo. La ribellione generazionale che montava nell'aria, animando le discussioni, contagiava anche noi ragazze del collegio. Si cominciava a parlare di politica.
Una sera, in giardino, una di noi iniziò a canticchiare una nuova canzone.
" Re Carlo tornava dalla guerra; lo accoglie la sua terra cingendolo d'allor...".
Incerte, cercammo di seguirla.
" Ho un disco di De André. Le sue canzoni sono bellissime..."
L'aria che si faceva fredda ci fece rientrare.
Al mattino, quel mattino di cristallo che ci portava in dono la primavera, la mia compagna di stanza accese il giradischi.
" Questa di Marinella è la storia vera..." e lei, anticipando le parole " che scivolò nel fiume a primavera, ma il vento..."
La suorina si stagliò nel vano della porta con il dito sulla bocca.
Esitò, incerta.
Io feci sst al posto suo.
Lei tacque, contagiata dall'incanto di quel cantautore sconosciuto.
Era un mattino di marzo del millenovecentosessantasette.
Nessuno fiatava nella stanza piena di sole e disordine.
De Andrè cantava.
Non sarei stata, mai più, così felice.

1 commento:

  1. Sarà che avevo fatto partire in contemporanea "Amore che vieni cantata da Battiato",solo perchè le tue parole amo accompagnarle alla musica (intuito maschile? esiste?)Sarà stato anche quello ma comunque quello che importa è che o trovato il tuo racconto dolce ed emozionante, come sempre quando torni indietro nel tempo.

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