Ho riflettuto molto arrivando, per il momento, alla conclusione che il punto di partenza in questa maledetta crisi, sia stabilire innanzi tutto una cosa: è una crisi, sia pur gravissima, di un sistema ancora funzionante oppure è il sistema economico-finanziario (e conseguentemente di valori) che è diventato obsoleto, superato e che pertanto è destinato a scomparire? Si dovrebbe stabilire a priori, ma è probabile che la risposta venga data a posteriori.
L’economia finanziaria che, apparentemente, ha salvato il capitalismo da una delle sue cicliche crisi, si è rivelata un boomerang, un’invenzione più raffinata della “catena di Sant’Antonio”, ma altrettanto truffaldina. L’economia finanziaria è parte integrante di un sistema capitalistico e i problemi non sono stati una conseguenza del suo esistere, ma del suo modo di funzionare. E qui entrano in ballo responsabilità gravissime dei sistemi di controllo e della politica.
La crisi del ’29 aveva prodotto negli Usa come in Italia una normativa finalizzata alla tutela del risparmio e alla corretta erogazione del credito. Perché è stata sostituita con regole del gioco che limitavano i poteri di controllo degli organi ad esso preposti e lasciavano mano libera alle banche?
“ E’ il mercato, bellezza!” qualcuno potrebbe rispondere, ma il mercato, quello che negli ultimi anni è diventato il dio-mercato si è rivelato un marchingegno improntato al conseguimento di un unico obiettivo: il profitto. Quindi la normativa che si proponeva di conseguire profitti e tutele è stata sostituita da norme che davano la priorità al profitto a scapito della sicurezza.
E’stata fatta una scelta ben precisa: continuare a incrementare i consumi per produrre ulteriormente. E se si contrae la capacità di spesa? Si compera a debito: soldi facili per tutti, soprattutto negli Usa. L’ho già scritto in questo blog. Consumi alimentati dai debiti. E per tenere alto il consenso case per tutti nella previsione di un aumento infinito del valore degli immobili.
Premessa manicomiale che ha scatenato la crisi dei subprime americani.
Il presidente del Consiglio, come prima mossa, ma la mia impressione è che non ce ne siano molte altre dietro l’angolo, ha consigliato agli italiani di spendere, dando l’esempio e acquistando un’altra faraonica magione da aggiungere alle molte che già possiede. Continuare a mandare le mogli a fare shopping – che un po’di distrazione non guasta - , andare in vacanza e via discorrendo. C’è un piccolo problema: oltre all'aumento vertiginoso della Cassa Integrazione e dei licenziamenti, dobbiamo registrate anche il mancato aumento degli stipendi, che il buon Trentin disancorò dalla scala mobile, avviando la concertazione con la Confindustria, e il pacioso Prodi dimezzò come potere d'acquisto, promettendoci l'Eldorado europeo e facendoci entrare nell’area euro.
L’unico modo di aumentare la disponibilità di spesa degli italiani è quello di ridurre l’incidenza delle imposte sui redditi di lavoro, abbattendo contemporaneamente il peso degli oneri integrativi su salari e stipendi, e migliorando in questo modo anche il conto economico delle aziende. (Per chi se ne fosse dimenticato sto facendo mia l’ipotesi del cuneo fiscale). E il minor gettito, con eventuale peggioramento del debito pubblico? Presto fatto: lo recuperiamo attraverso la lotta all’evasione fiscale. E qui il discorso si fa politico: può un governo che fa gli interessi della parte abbiente della popolazione, rischiare il proprio consenso elettorale? La risposta mi sembra scontata.
Lo slogan che mi frulla nella menta non è "lavoriamo meno, lavoriamo tutti" ma "paghiamo meno imposte, paghiamole tutti"!
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