Kappa 22, in missione speciale sulla Terra, subiva quella sorta di fascinazione che coglie chi osa spingersi in luoghi sconosciuti e profondamente diversi dai propri. Quello strumento, il blog, lo connetteva a realtà differenti tra loro, ma improntate a principi che sommati delineavano una civiltà che aveva poco a che fare con quella di Urano, il suo paese.
La Terra aveva confusamente imboccato la strada di un cammino tecnologico all’interno del quale l’informazione stava assumendo una rilevanza del tutto particolare. Gli uomini avevano finalmente capito che avrebbero potuto mettere in comune una potenzialità che fino a quel momento avevano custodito e coltivato come un fiore di serra nel proprio giardino. Erano le potenzialità intellettive, la loro intelligenza, il know how, i molteplici saperi che la Rete, che si stava estendendo come una ragnatela d’argento sul mondo, collegava potenziandoli. Si stava creando una sovrastruttura fatta di conoscenze che continuavano ad accrescersi per l’apporto di tutti coloro che si sedevano davanti alla tastiera di un computer e incominciavano a sfiorarne i tasti e a direzionare il mouse.
Kappa 22 sapeva che questa rivoluzione informatica avrebbe avuto un impatto tale sull’uomo da modificarne il corpo, il cervello e quella parte, a lui sconosciuta di quegli strani bipedi, che genericamente veniva chiamata anima.
Kappa aveva un visore posizionato nel cervello e quindi non aveva bisogno di un monitor per vedere al di à di quanto gli occhi potevano cogliere ma, non potendo utilizzare quasi mai il cervello uranoide, si era dotato anche della tecnologia strumentale degli umani.
In piedi davanti alla finestra stava assorto a osservare il primo chiarore dell’alba scivolare sulla città illuminandone ogni angolo: la luce si tingeva di rosa, i motoscafi borbottavano scivolando sull’acqua del canale. Qualcuno spalancava le imposte e la città si risvegliava: profumo di caffè e cornetti appena sfornati saliva nell’aria mentre i turisti più mattinieri cominciavano a ciabattare lungo le calli. Kappa si rendeva conto che quella città gli stava entrando dentro: quella città e ciò che provava perdendosi nella geometria senza sbavature del corpo di Dorina estendevano in lui, potenziandolo, qualcosa che se non era un’anima, certamente le assomigliava molto.(continua)
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