C’era una volta una principessa che regnava su un palcoscenico polveroso separato dal mondo da un sipario di velluto rosso. Anche se minuscolo, quel regno le permetteva ogni sera di mostrarsi ai suoi sudditi, di essere acclamata, di ricevere mazzi di fiori, applausi e complimenti.
Era un tributo più alla sua bellezza che alla sua bravura, ma a lei bastava, e il futuro si presentava roseo di promesse.
Ma una sera d’inverno, il teatro era caldo e le luci basse, Beronica splendente di bellezza e giovinezza come una torcia accesa nel buio di una caverna, quando, tra gli spettatori in fila davanti al botteghino, si fece largo un uomo. Troppo sorridente, troppo prepotente ( tentò di non rispettare la fila), troppo alla moda, entrò per assistere allo spettacolo, attratto dalle forme giunoniche di Beronica che giganteggiavano invitanti dai manifesti che tappezzavano la città.
Tilvio, questo era il suo nome, era il reuccio di Milano, oh, non la grande città del Nord capitale morale del Paese, una Milano in miniatura, fatta su misura per l’unica categoria di persone da lui considerata: i ricchi. Piccolo sì, il suo regno, ma multiplo. Milano: Uno, Due, Tre…
Il nostro Tilvio aveva molte doti, una passione per il denaro ed era un prestigiatore nato. Fulmineo,in un gioco di specchi, faceva apparire e scomparire le sue mini città davanti agli occhi attoniti dei direttori di banca che, quasi più nulla capivano, anche perché il Tilvio, che era un simpaticone portato allo scherzo anche se un po’ pesante, era diventato amico di gente importante e tra i suoi giochi di prestigio, la presentazione degli amici, i debiti che diventavano crediti - una di e una bi di differenza, ma vogliamo sottilizzare direttore? Mi lasci lavorare che i ‘diné’ non aspettano - le banche l’avevano finanziato senza battere ciglio. Al Tilvio.
La nostra principessa recitò meglio del solito e, a fine spettacolo, sommersa dagli applausi e dai fiori, incrociò lo sguardo del Tilvio. Un brivido la scosse mentre una vocina le sussurrava:”Attenta ragazza mia, attenta…l’incantesimo durerà trent’anni, e liberartene sarà durissimo. Fuggi principessa, fuggi”. Ma quando entrò nel camerino nella corbeille di fiori c’era una collana di oro bianco con uno smeraldo. Ebbe l’impressione che un’ombra alle sue spalle l’aggredisse, salendo come una marea nera. Solo lo smeraldo riluceva nell’oscurità.
Alle sue spalle il Tilvio, grazie ai tacchi e alle spalle imbottite, giganteggiava nel riquadro della porta.
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