mercoledì 20 maggio 2009

I Dellapicca

“ Presto signore, dobbiamo andare…”
“ Sono qua, Moro “ e, così dicendo, l’uomo saltò sulla barca che oscillò vistosamente. Poi si udì soltanto il rumore cadenzato dei remi che sferzavano l’acqua.
I due uomini tacevano: assorti.
Incombeva, avara di stelle, la notte e la luna, ora nascosta da una nuvola passeggera, sembrava scrutare l' imbarcazione che, scivolando lungo l’intreccio dei canali, puntava in direzione del mare aperto.
Avvolto nel mantello l’uomo seduto dietro al rematore, lasciava scivolare lo sguardo sulle facciate dei palazzi. Conosceva ogni angolo di quella Venezia nella quale era nato e cresciuto. Erede di una nobile famiglia veneziana, i Dellapicca, ricchi commercianti di spezie e prodotti orientali che venivano trasportati con le navi di famiglia, era rimasto orfano di padre da bambino. Allevato dalla madre che ne aveva affidato l’educazione a istitutori compiacenti, che nulla avevano fatto per modificarne il carattere capriccioso e instabile, il giovane conte Sigismondo era cresciuto manifestando, oltre all’arroganza tipica del suo ambiente, due uniche passioni: le donne e il gioco.
Ospite onnipresente alle feste che animavano i palazzi sul Canal Grande, elegantissimo, di bella presenza, era sempre invischiato in storie di donne e la sua gondola, nera e lussuosa, con quel moro gigantesco che, docile come un cane, aspettava per ore il padrone, spesso era stata vista nei paraggi dei palazzi che custodivano, come valve le perle, le più belle dame veneziane.
Sigismondo aveva lasciato la sua casa in tutta fretta, senza nemmeno avvertire la madre, timoroso che lei potesse tentare di fermarlo, ma non aveva rinunciato a vedere per l’ultima volta Benedetta e ora anche lei, che gli danzava davanti agli occhi nella notte che schiariva, sarebbe stata soltanto un ricordo, come quell’odore di mare, lo splendore dei palazzi veneziani, la parlata strascicata, inconfondibile della sua gente. Si lasciava il suo mondo alle spalle, probabilmente per sempre, costretto a fuggire oberato dai debiti e ricercato dai creditori, dopo aver dato fondo, sui tavoli da gioco, a un patrimonio costruito da generazioni. Lui, l’imbelle erede dei Dellapicca, fuggiva nella notte come un volgare malfattore, per evitare la vergogna della galera a se stesso e l’onta dell’uomo che era diventato a sua madre.
Con sé portava soltanto i ricordi e il Moro, l’unica persona sulla quale potesse ancora contare.(continua)
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