Aveva cominciato per gioco, o forse per disperazione, picchiando incerta sui tasti del computer, con forza, come le avevano insegnato anni – o erano secoli? – prima, quando ancora le donne facevano le dattilografe e stenografavano compunte con il notes sulle ginocchia.
Aveva cominciato così e, soltanto in seguito, si era resa conto delle potenzialità dello strumento.
In un’età in cui anche le passioni di una vita si spengono, in lei erano esplose, ancora più esaltanti perché impreviste e vissute come un ultimo frutto caduto da un ramo finito per errore nel suo giardino. Aveva aperto un blog e ancora quando lo comunicava coglieva vaghe occhiate di scherno o di sincera meraviglia.
E l’uncinetto?
L’aveva riposto in un cassetto con i ferri da calza e i gomitoli, e di fare la calzetta proprio non le sarebbe mai passato per la testa.
Era sempre stata una persona curiosa e ora la sua curiosità trovava nuovi modi per essere soddisfatta, ficcando il naso nei blog altrui, leggendo i commenti, aggiungendone di propri. Conosceva gente nuova: alcuni si limitava a sfiorarli, come quando si sale su un bus gremito e si tenta di raggiungere la macchinetta obliteratrice, altri li contattava in modo più serio. Di qualcuno era diventata amica ed erano amicizie vere, importanti.
Si era ritagliata spazi minuscoli nel web, coltivandoli come sua nonna aveva coltivato il suo orto di guerra, con passione molto più che con competenza.
Ormai il suo mondo aveva rotto gli argini.
Nella sua stanza, in quell’interminabile inverno, se i suoi occhi non erano andati oltre il davanzale della finestra su cui dava la sua scrivania, rimbalzando sulla nebbia che innalzava muri impalabili ma impenetrabili allo sguardo, gli occhi del computer l’avevano portata in giro per il mondo, quel mondo in cui lei aveva dimore che erano sempre pronte a accoglierla.
Era su My space, Face book, Miglior Blog, Technorati dove bastava scegliere un tag e come da una slot machine scendevano tintinnando commenti, racconti, informazioni…
Una mattina di primavera inoltrata, faceva caldo, la nebbia era stata riposta con i cappotti in naftalina, controllando la mail notò che non c’erano messaggi. Strano! Beh, potevea succedere. Il giorno precedente, una giornata piena di sole, la gente l’aveva passata passeggiando e nei bar all’aperto, non accartocciata sulle tastiere dei pc a scrivere.
Passò a My space. Apparve una videata che la invitava a digitare la password.
Diligente digitò.
Password sconosciuta. Come? Avete dimenticato la password? Comunicate il vostro indirizzo e-mail. Ve ne spediremo una nuova. E vabbé.
Con pazienza, anche se avvertiva una vaga sensazione di malessere, digitò il suo indirizzo e-mail.
User name e e-mail non sono corretti. Come non sono corretti? Irritata passò a Technorati L’avevano inserito il suo ultimo racconto? Blog sconosciuto. Si cercò si Face book: Non esisteva.
Andò su Anobii dove venne messa in strada da un cybor –buttafuori.
Ormai sgomenta digitò l’indirizzo del suo blog.
Mai esistito.
Il suo alter ego, il suo doppio idealizzato e costruito a tavolino, perfetto e servile non esisteva più.
C’era soltanto lei: una banale Laura senza l’ombra rassicurante e intrigante dell’onomatopeica Falilulela.
Cercò per giorni, in quel mare di ombre, la sua ombra.
Il medico da cui andò, esaurita, a farsi visitare, le consigliò un antidepressivo e una visita da un neurologo. Le amiche le regalarono l’abbonamento a Rakam- le più belle maglie dell’estate. Il suo blog, la sua creatura, naufragò , senza guida, nella notte senza tempo del web. Pian, piano si convinse di averla sognata quell’esaltante stagione, di averla intravista nella smania di una notte di febbre e delirio.
L’autunno la sorprese a sferruzzare, il computer con un centrino sopra e la gatta che si faceva le unghie sul monitor, grigio e spento come la nebbia che bussava alla finestra.
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