sabato 22 agosto 2009

Ultima recita a Venezia

Erano anni che non tornava a Venezia, in quella città che era stata fondale perfetto delle sue recite e, quindi, dei suoi cambiamenti. Almeno i più importanti. La prima volta in cui l'aveva vista le aveva dato in dono le radici, a consentirle un'appartenenza che fino a quel momento non aveva posseduto. Era da quelle viuzze strette, avare di sole, che venivano i bisnonni, e a quelle tose chiare, bionde e snelle lei assomigliava nel fisico, mentre nel carattere che andava delineandosi il gusto dell'ambiguità, il desiderio di mascherarsi e svelarsi cominciavano a affiorare, anticipando quella sensibilità sofferta che sarebbe stata la struttura portante della sua caratterialità.
Aveva attraversato i suoi ponti e goduto dei suoi tramonti da innamorata, più dell'amore che degli uomini che glielo avevano fatto scoprire, mentre i palazzi, come comari chiacchierone schierate ad assistere a uno spettacolo, facevano ala allo splendore della sua giovinezza.
Era tornata a Venezia con gli alunni e con i figli, a spiegare, didattica, con la guida tra le mani, a chi quella bellezza non voleva o poteva cogliere, particolari di un insieme che era rimasto nebuloso, indistinto. Forse a causa sua? Avrebbe dovuto esprimere le emozioni che la attanagliavano a tradimento scoprendo piazzette sfiorate dal sole, abitate da gatti acciambellati sui davanzali tra vasi di basilico nell'umidore greve delle calli? Avrebbe dovuto indurli a tacere per sentire la voce dell'acqua e i sussurri che gli amanti, imprigionati nei giochi e nelle bugie dell'amore, si scambiano nelle notti estive?
Ma lei non amava scoprirsi o forse non poteva farlo. Quando le bugie nella gondola barocca l'avevano fatto arrossire più dei velluti svelati dalla luna, quella luna troppo grande per i riquadri stretti di cielo che le calli possono concedere, lei si convinse che la verità, come la luna, si deve prendere a piccole dosi...
Poi gli anni passarono, troppo impegnata a crescere i figli per avere tempo e voglia di cambiare, finché una mattina prese il treno e tornò a Venezia. Splendeva la città, appena sfiorata di sghembo da quella luce che gli ori impreziosivano, sfumandola nell'aria. Sbilenca ondeggiava facendole percepire la fatica e l'orgoglio della sua lotta quotidiana con l'acqua che la segnava di ferite. Rispecchiandosi in quelle ferite, lei capì che la libertà non può che essere lotta quotidiana e sorridendo annuì, lanciando un pezzo di pane a un gabbiano, mentre prendeva il notes e cominciava a scrivere. Era questo che voleva fare nell'ultimo scampolo di esistenza che la vita le concedeva - pensò, mentre il sipario calava, come sempre quando si è capito tutto o quasi, implacabile, sulla ultima recita della sua vita.

3 commenti:

  1. Bellissimo. Non so che altro dire, se non che queste sono le tue cose che preferisco!
    Con affetto

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  2. Mi piace quasi sempre la tua scrittura, qui ho apprezzato anche di più la tua "moralità". Grazie.

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