lunedì 21 settembre 2009
Woodie Allen regista del disincanto
"Basta che funzioni", ci sussurra un Woodie Allen che vede avvicinarsi a tutta velocità il capolinea che, nella sua odiata/amata New York, porrà fine ai suoi giorni che, come i nostri, si consumano in quel rogo breve e intenso che è la vita. Il pudore per un mondo che i suoi occhi d'artista e uomo geniale colgono in tutta la sua devastante e immodificabile ripetitività di nascita, riproduzione e morte, dà la stura a una comicità che alimenta un fuoco d'artificio di battute fulminanti su cui si regge, come un'abile equilibrista sul filo, la diafana trama del film. Un geniale professore, sommerso dalla paura del vivere al punto di tentare il suicidio, entra in rotta di collisione con una ragazzina fuggita di casa, spersa in una New York tentacolare e affascinante che, come sempre, il regista sapientemente descrive. Approderanno alla sua porta, resti di quel naufragio con il quale ogni vita fa i conti, anche il padre e la madre della ragazza che lui sposerà, dopo averla raccattata come un cucciolo smarrito e trovato per caso. Sconvolti e provati entrambi dalla rottura degli schemi che, ingabbiandoli, li hanno per anni protetti da se stessi e dal rischio dei cambiamenti, gettate alle ortiche le sicurezze, avranno modo di scoprire, nel coraggio della trasgressione, quel po' di felicità che, come fuoco acceso in un bivacco, dà calore e conforto. Godetevi quel calore, scaldandovi a ogni fuoco suggerisce il regista del disincanto, quale a me sembra sia questo maturo Woodie Allen, che sa, senza più illusioni, che anche il fuoco più vivo all'alba è cenere, solo cenere grigia sotto un cielo spento.
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