Sigismondo sbarcò sulle coste dell'Istria, accolto da una folla di curiosi. Dietro a lui scesero lungo la scaletta i passeggeri e i pirati fatti prigionieri. La notizia della vittoria sui predoni del mare passava di bocca in bocca suscitando chiacchiere e commenti, soprattutto su quell'uomo, chiamato Il Veneziano che, con il suo intervento e il coraggio dimostrato nel battersi, aveva capovolto la situazione. Il capitano della nave, dopo avergli restituito l'anello, si era anche scusato con lui, e ora affiancandolo lo stava invitando a entrare nella locanda per brindare al passato pericolo, mentre dietro a loro si andava ingrossando una piccola folla di passeggeri e curiosi.
Maria stava pulendo il bancone, le maniche dell'abito da lavoro arrotolate a scoprirle le braccia piene. Sigismondo la riconobbe immediatamente e, per un istante, ebbe la sensazione di essere ancora l'uomo in fuga approdato a Trieste che in una bettola del porto aveva posato gli occhi per la prima volta su quel volto di donna dai tratti perfetti. Sentendo sbattere la porta d'ingresso, aveva alzato gli occhi e ora lo fissava sbalordita, incapace di fare anche un solo passo. Sigismondo le si avvicinò, mentre lei, ritrovata la voce, gli diceva: "Allora non sei morto nell'incendio" ma senza gettargli le braccia al collo, né dimostrarsi contenta di vederlo.
"Sono stato costretto a nascondermi...E la bambina?" Pronunciando queste parole gli scomparve il sorriso dalle labbra mentre la sua inquietudine contagiava la moglie. La padrona, che si era avvicinata, con una gran risata esclamò, dopo aver lasciato scorrere uno sguardo indagatore sulla veste di velluto e damasco del Veneziano: " Potete prendervi mezza giornata di libertà e festeggiare l'arrivo di vostro marito" disse e ammiccò sguaiata.
Sigismondo e Maria salutarono tutti con un cenno e si allontanarono, raggiungendo la stanza che la donna divideva con la figlia. Infilata la chiave, entrò mentre la bambina le correva incontro, riconoscendo il padre e attaccandosi alle sue gambe. Sigismondo sentì un nodo alla gola e il dolore sordo del rimorso nel petto.
"Non mi hai chiesto notizie del Moro!"
"So che ha salvato te e la bambina" rispose il marito.
"Fosse dipeso da..."
"Hai ragione, ho sbagliato molto, ma ho avuto anche tempo per riflettere. Ricominceremo..."
Maria taceva, silenziosa, fissandolo. Poi, rompendo quel silenzio che si prolungava, gli disse:
"Sono successe tante cose e... non mi sei mancato!"
"E' quel maledetto Moro che ..."
"No!"
La sua abituale arroganza gli affiorò nello sguardo, mentre gli tornavano alla mente le parole del rabbino, le sue spalle improvvisamente curve sotto il peso del dolore della sua gente che aveva dovuto condividere, il ponte del veliero macchiato dal sangue dei morti e, prepotente gli scattò dentro una voglia di presente e futuro che annullasse con la vitalità del desiderio quella sensazione di morte che ancora lo attanagliava. Fece una carezza alla figlia e circondò con un braccio le spalle della moglie, sussurrandole che sarebbe cambiato, chiedendole perdono per tutto il dolore che le aveva causato. Maria lo guardava stupita, la sua bellezza che acquistava una tonalità morbida, calda, alla luce della candela, mentre il marito si toglieva l'anello e glielo infilava al dito, dicendole: "Ho rischiato per la mia stupidità, per la mia arroganza oltre che per la mia vigliaccheria di perdervi..."
Maria si sedette accanto al fuoco, al collo la figlia che si stava addormentando.
"Io voglio sapere che fine ha fatto mia figlia" chiese e lo guardò senza abbassare lo sguardo.
Sigismondo fece un cenno con la testa, mentre mormorava: "E' morta" e aggiungeva "nell'epidemia causata dall'acqua infetta che ha seminato la morte nel ghetto. Era stata affidata a una madre che aveva perso la propria figlia".
"Pensavo l'avessi fatta uccidere" mormorò Maria continuando a fissare il fuoco, le dita contratte sulla figlia che dormiva tra le sue braccia.
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