Il pino che scorgo dalla mia finestra trasuda acqua e la gatta, dopo aver annusato l'odore stantio che sale dalla terra inzuppata del giardino, cambia idea e rinuncia all'abituale passeggiata acciambellandosi sulla mia stampante. Dividiamo equamente due cosce di pollo e un po' di malinconia. Ieri ho scritto l'ultima puntata de I Dellapicca, iniziato qualche mese fa un po' per gioco e un po' per curiosità.
Un racconto lungo(che è diventato lunghissimo) partito dall'idea iniziale di una contrapposizione tra due città, Venezia e Trieste alla fine del Settecento. La prima - il mondo è fatto a scale - che già coglie nell'afrore dei canali che la percorrono l'odore della sua inarrestabile decadenza, la seconda che aspira a prenderne il posto nell'Adriatico, dopo essere diventata lo sbocco sul mare dell'impero austriaco. La storia è incentrata su tre figure: un nobile veneziano (rappresentante di una classe sociale corrotta, arrogante e fatua, ma anche raffinata e ancora memore della propria potenza) una triestina (poco istruita, rozza e bellissima) che ha in sé la forza e la capacità di reazione, che mancano al suo debosciato marito, nonché l'attaccamento al denaro e l'ambizione che saranno le caratteristiche della nascente borghesia triestina, e un uomo di colore, prima schiavo, poi predone, poi ambiguo socio/servo del nobile veneziano. Il rapporto che li unisce in una spirale di odio, invidia, bisogno e ammirazione ruota intorno alla donna che, pur sposando il Veneziano, porterà sempre nell'anima l'amore per il Moro e il ricordo di quell'unica notte passata con lui, ma responsabile della nascita di due gemelle.
Premetto che della storia, quando ho iniziato a scriverla, avevo in mente soltanto l'inizio e l'ho costruita quindi puntata dopo puntata. Avevo deciso che ogni puntata, essendo scritta su un blog, fosse breve(intorno alle 2000/2500 battute) e nelle mie intenzioni avrebbe dovuto mantenere una sua autonomia narrativa e concludersi suscitando nel lettore la curiosità, la voglia di leggerne il seguito. Credo di aver centrato l'obiettivo inizialmente, poi quando ho avuto l'impressione che i personaggi avessero cominciato a girare su se stessi diventando ripetitivi, ho cambiato completamente il contesto descrivendone le nuove caratteristiche (personaggi, ambiente, usi ecc.) e, dopo una successiva serie di puntate, ho fatto confluire le due storie. Sullo sfondo, a spizzico, una voce narrante: la nonna raccontava alla nipote la storia di questa antenata, ricostruita nebulosamente ritrovandone tracce sperse collegate tra loro anche col supporto della fantasia.
Ma non ha funzionato: per tutta una serie di motivi ma soprattutto perché questa scrittura - in diretta - non consente ripensamenti.
A lavoro finito cosa mi ha insegnato? Parecchio direi, soprattutto in negativo: non come fare, ma come non fare.
Tentando un riepilogo:
1 - La storia avrei dovuto averla già costruita nella sua struttura portante.
2 - Come primo tentativo non si dovrebbe andare oltre le 10/15 puntate, una sorta di racconto lungo insomma.
3 - Schede intestate ai personaggi (in alcuni punti la mia memoria ha fatto cilecca)
4 - Il romanzo a puntate richiede rispetto a quello scritto, visto e rivisto nella solitudine della propria casa, nervi molto più solidi perché lo si vive con il giudizio dato alla fine di ogni pagina, quindi il fiato sul collo del lettore turba sia quando c'è, sia quando non c'è.
5 - Credo vada scritto come scaletta per ogni puntata, prima e tutto, e solo rimpolpato di volta in volta.
6 - La suspense tenuta costantemente alta lo colloca nel feuiletton (a meno che non ci si chiami Balzac)
7 - Il blog con le sue regole(velocità, scorrevolezza...) non si presta perché non consente né approfondimenti né descrizioni particolareggiate. Quindi spunta le armi di chi scrive e richiede doti di sintesi e capacità non indifferenti. (vedi richiamo a Balzac)
8 - Preferibilmente fare perno su pochi personaggi circondati da una folla confusa che dia solo colore, quasi scenico, e appoggio ai protagonisti, senza acquisire una individualità che obblighi a perdersi in rivoli che finirebbero per togliere spessore alla narrazione.
Considerazioni positive?
Misurarsi. Sperimentare una modalità espressiva, nel mio giocare con le parole, completamente nuova. E difficile. E questa poi, a ben pensarci, la molla che ci tiene non in vita, ma vivi: prendere le misure ai nostri limiti e ricominciare da capo un po' più ricchi di esperienza e, come quasi sempre succede in questi casi, di umiltà.
Mi piacerebbe sentire il vostro parere.
Sto sperimentando questo misurarsi con le parole, con la creatività, con la scrittura, con le idee e le possibilità, la cultura e la conscenza..in questo preciso momento e devo dire che mi sto divertendo..anche se ci sono momenti in cui è frustrante.
RispondiEliminaQuando la mia mente è vuota o non so come iniziare o procedere... non dico che mi prenda il panico ma non sto nemmeno bene...
Anche io lascio che la storia si crei uscendo dalle mie dita.. ma non so se questo può essere un procedimento maturo per scrivere...
Cerco di approcciarmi con umiltà alla scrittura...e quando pecco in arroganza è la scrittura stessa che mi riporta sui binari dei piedi per terra..
E' vero quello che dici: è proprio la scrittura che lampeggia e dà un avvertimento. E poi ci sono i lettori
RispondiEliminache si volatilizzano o arrivano quando trovano qualcosa di valido.
Io ho scoperto tardi la scrittura (la passione c'è sempre stata ma relegata in un angolo dagli impegni di lavoro e familiari) e ora me la giro e rigiro tra le mani incantata...
Passerò sul tuo blog a dare un'occhiata e grazie per il tuo commento.