Avevano appena saputo che il prezzo del latte per la produzione del parmigiano reggiano era diminuito e che le loro entrate si sarebbero quindi ulteriormente assottigliate; in aggiunta a tutto ciò l’inflazione che in quegli anni mordeva l’economia stava facendo salire a dismisura i tassi d’interesse. Come avrebbero fatto a pagare le rate del mutuo contratto per acquistare il podere? E lei, impegnata con la scuola e i ragazzini, sarebbe riuscita a gestire la casa con il pollaio, l’orto e le stufe che continuavano a non funzionare, facendo assumere agli abitanti della casa un odore di prosciutto affumicato che faceva storcere il naso a chiunque stazionasse nei loro paraggi? Aveva deciso di parlarne con il marito, comunicandogli i suoi dubbi. Il giorno prima aveva fatto un po’ di conti ed era molto preoccupata.
“Entro sei mesi, andando avanti di questo passo, saremo rovinati”, sbottò.
Giovanni la squadrò dall’alto in basso. “Da quando in qua t’intendi di problemi imprenditoriali?”.
“Be’, ho una laurea in economia e commercio, sono in grado di fare un bilancio preventivo” gli rispose esitante.
“Ma cosa vuoi capirne tu? Occupati della gestione della casa, che all’azienda agricola ci penso io!”.
“Stiamo spendendo troppo, siamo in rosso sul conto dell’azienda, le rate del mutuo sono aumentate e…”
“Ti ho già detto di non occupartene e, ti ripeto, per quelle quattro stupidate di cui parli a scuola… Proprio tu dovresti insegnare qualcosa a me!” l’interruppe, palesemente seccato.
Lei rimase in silenzio, la piccola tra le braccia che ciondolava dal sonno, la cucina con il lavello traboccante di piatti da lavare e gli altri figli che reclamavano una favola chiamandola dalla loro stanza, mentre la fatica di quella lunga giornata cominciava a farsi sentire. Senza rispondere al marito, uscì dalla cucina avviandosi lentamente verso la camera dei ragazzi. Mise a letto Alessandra che si era ormai addormentata tra le sue braccia e le rimboccò con cura le coperte.
“Allora mamma ce la racconti una favola?”.
I figli grandi aspettavano.
“Sono stanca morta, ragazzi; ve la racconterò domani” mormorò sedendosi su uno dei loro letti a massaggiarsi i polpacci, indolenziti dalla lunga camminata nel bosco.
“No mamma, hai promesso, hai promesso. Nemmeno ieri sera l’hai raccontata… Così non vale. Le promesse si mantengono”.
“Avete ragione, le promesse si mantengono”.
Aveva cominciato a raccontare: “Oggi, nel bosco, il cane si è messo a scavare. E scava che ti scava…” e i figli grandi si erano addormentati.
Ludovica era rientrata in punta di piedi in cucina. Suo marito, senza nemmeno augurarle la buona notte, era andato a dormire. Riempito d’acqua il lavello, aveva cominciato a lavare i piatti ma era talmente stanca che uno le era sfuggito di mano, andando a infrangersi sul pavimento.
Si era seduta sulla seggiola, scoppiando a piangere. Era stato in quel momento che aveva pensato di andarsene? O era stato quando la giovane figlia di un vicino si era presentata sulla porta di casa, l’aria arrogante, un filo d’erba in bocca tra le labbra piene di donna, chiedendole:
“Tuo marito è in casa?”.
Il suo sguardo le era scivolato addosso sul grembiule macchiato, sulla figlia che teneva tra le braccia, mentre quel tu arbitrario, insolente, aleggiava nell’aria. Suo marito si era avvicinato imbarazzato, ridendo troppo mentre lei si chinava d accarezzare il cane.
“Non mi riconosci più? Nero ti sei dimenticato di me? E sì che mi hai visto tante volte!” aveva detto, fissandola. Lei era rientrata, in silenzio.
Il cane era rimasto fuori, uggiolando nervoso alla luna che scivolava indifferente oltre la collina. (continua...)
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