Ero esterefatta. "Sono Gloria!" con quel tono? Come se mia madre la conoscesse?
La guardai e gelidamente le chiesi: "Mia madre ti conosce?". Vidi la rabbia nei suoi occhi acquattarsi mentre la sua voce assumeva quel tono implorante, da vittima, che non riuscivo a sopportare. Anche se lei vittima lo era, ma il carnefice... non ero io.
Eppure mi faceva sentire responsabile come se fossi stata presente alle adunate del Duce, confusa all'interno della folla plaudente.
Le crollarono le spalle, si abbassarono le palpebre mentre diceva:"Scusami! Per un momento ho perso il controllo".
Finsi di credere alle sue parole ma, ormai, il dubbio si stava facendo certezza dentro alla mia testa: quella donna aveva bisogno di me, ma non era la mia amicizia che cercava. Qualcosa ci univa, qualcosa che risaliva alle nostre famiglie, un filo rosso di dolore e di sangue che passava attraverso il campo di sterminio di Auschwitz, che mio padre aveva cercato disperatamente di dimenticare, e quella fede che mia madre fingeva di non avere visto nel cassetto della sua scrivania. Ma perché non parlarne con me, con chiarezza? Cosa le impediva di dirmi la verità?
Gloria mi fissava. Aveva capito di essere andata oltre?
"Ricordi ciò che ti dissi... che il dolore sfigura? Ho perso tutti: ho soltanto te!"
e sospirò.
"Ma io potrei essere soltanto un'amica" le risposi, sentendo che la stanza si faceva stretta e l'aria mi mancava.
Rise, con quella sua risata che strideva come gesso su una lavagna. "Ma cosa hai capito? Non sto attentando alla tua virtù, non mi piacciono le donne. Oh, mia povera amica, è questo che hai pensato poco fa quando ti sei rivolta a me con quel tono offeso e quello sguardo gelido?"
Mi sentii scoperta. Mi era passata per la mente anche quell'idea. Era un'ipotesi come un'altra, in fondo. Oppure mi stava raggirando, voleva tranquillizzarmi? Bene, nel dubbio sarei stata al suo gioco.
"Be', non posso negare... " balbettai in risposta.
"Ho una storia con quel mio amico, l'investigatore privato. Ricordi, ne abbiamo parlato quel giorno in cui... "
"Ah, raccontami, raccontami".
"E tu in cambio cosa mi dai?" e sorrise, sorniona.
"Forse so dov'è l'anello" le sussurrai osservandola.
"L'avevo immaginato" mi rispose.
"Come mai?"
"Un'ebrea non... "
"Un'ebrea?!"
"A volte, parlando con te, dimentico che non lo sei. Hai molto della mia gente. Nessuno te l'ha mai detto?"
In quella partita a scacchi che avevamo incominciato a giocare era di nuovo in vantaggio.
Di nuovo mi spiazzava. (continua... )
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