Come si narra l'indicibile se non con parole? Che rumore fanno i segreti quando vengono svelati? La voce di Gualtiero era quella di sempre, appena un po' più bassa, mentre le sue parole rievocavano fatti lontani e la cucina diventava campo di grano sotto il sole, fango e pioggia battente a impedire la vista, a ingannarla... Ma ora non c'erano né pioggia, né paura. Era soltanto stanchezza che provava, una grande stanchezza per quel segreto che si era tenuto dentro troppo a lungo. No, Gualtiero non aveva visto in faccia l'assassino di Decimo, aveva visto soltanto quel bagliore e sentito il rumore secco dello sparo: alla sua sinistra, accanto al calesse del Lambertini. Aveva però una sicurezza, una certezza: non era stato Ninetto a sparare, e nemmeno Desmo, o Lugino o Diadoro... perché allacciati l'uno all'altro, in un groviglio di gambe e braccia, intenti a scaricarsi addosso pugni e bestemmie, sguazzando nel fango che impediva loro di stare in piedi, non avrebbero potuto perdersi di vista, nessuno sarebbe riuscito a sgattaiolare via, ad attraversare l'aia, individuare il fucile...
"Con assoluta certezza avresti potuto scagionare Ninetto... "
La voce di Marilena s'insinuò, molesta come il ronzio di una mosca estiva.
"Non lo feci, scagionai soltanto Desmo. I gendarmi non avevano simpatia per i braccianti, sobillatori di disordini che sarebbe toccato loro acquietare, e poi temevano noi fascisti; tutti ci temevano, ma non Ninetto!"
"Come Primo... "
Gualtiero continuò: "Desmo decise che avremmo dovuto dargli una lezione; io non volevo, ero dubbioso, incerto. Lui continuò a insistere, a ripetere le solite cose - con le parole ci sapeva fare - e, alla fine, per convincermi mentì: mi disse di avere visto Ninetto sparare, giurò che gli era scivolato tra le mani come un'anguilla, che non l'aveva denunciato perché voleva ammazzarlo con le sue mani e poi farlo sparire, scomparire per sempre; evitare insomma che diventasse un simbolo per i suoi compagni. Un uomo che si nasconde, che fugge è un vigliacco, capisci?"
Alzò la testa, per spiare sul volto della moglie l'effetto delle sue parole, ma Marilena teneva gli occhi bassi e taceva.
Gualtiero riprese a raccontare: "Sorvegliammo con altri fascisti la casa di Ninetto, seguimmo a turno il suo miglior amico, ma quello era furbo: andava nei campi o mungeva e, quando c'incrociava, si toglieva il basco e rideva, rideva... Ci prendeva in giro, così come aveva fatto Ninetto. Andammo avanti così per un po'; poi Desmo in un giorno d'estate, l'aria che aveva sapore di fieno, le donne che erano scure di sole come le more del gelso, disse: 'Ma gli verrà ben la voglia di saltare sul letto con l'Antonia', e così cominciammo a seguire l'Antonia, usandola come esca, e lui abboccò all'amo, eccome... "
"Ma tu lo sapevi che era innocente Ninetto, lo sapevi?! Lo sapevi?!"
Marilena riprendeva colore, il sangue che le saliva al volto, le chiazzava il collo, le rombava nelle orecchie, mentre il marito riprendeva a parlare e lei avrebbe voluto che tacesse, che di nuovo il silenzio, come sempre o quasi, invadesse la cucina, rotto soltanto dal tintinnio delle posate. Avrebbe voluto che la sera estiva fosse quella di sempre, un po' monotona, scontata... grigia com'era stata la sua vita fino a quel momento.
(continua... )
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