Era vissuta in un mondo di donne; uomini pochi, pochissimi e... trasparenti. La nonna le aveva lasciato in eredità il coraggio. Ricordava i suoi occhi azzurri dove mai aveva visto la paura, l'affetto ruvido che era solita addolcire con quelle torte che profumavano di dolci appena sfornati la cucina e quello sguardo con cui era solita incenerire suo padre. Donna del fare, le mani nodose sempre in movimento e lo stupore, misto a soddisfazione, nello sguardo che si posava, orgoglioso, sulle figlie. Si era sempre chiesta, fin da bambina, come da lei, piccola, magrissima, non bella, fossero nate quelle due meraviglie: sua madre e sua zia. Belle e... infelici, ossessionate dalla paura di perdere con l'età quella bellezza che faceva voltare gli uomini al loro passaggio. Una generazione dopo l'altra, sempre a partorire femmine, inchiodate alla bellezza e alla malinconia come cristi alla croce.
"Chi è la più bella del reame?", perché una donna deve essere bella. E poi? E poi niente, niente di di nuovo: un marito, una casa, figli; quello che fanno tutte. Ordinatissime, profumate, impeccabili, lo sguardo reso miope dal fascismo avevano dovuto passare attraverso l'atrocità di una guerra per permettersi i primi dubbi, per scoprire la gratificazione e la paura di un assaggio di autonomia, per svegliare quei loro cervelli intorpiditi ai quali nessuno aveva chiesto di pensare. Per subire non occorre pensare, anzi meno si pensa, meglio si sopporta.
La pace non portò pace nelle loro anime, cominciarono a guardare gli uomini, anche i loro, con altri occhi. Disincantati, attenti.
Cosa insegnarono alle figlie? Poco di nuovo: le certezze spazzate via dalla guerra, fecero crescere le loro bambine (come avrebbe raccontato Jacqueline Kennedy) facendole "studiare per mogli", ma soprattutto dicendo una cosa e pensandone un'altra...
Le figlie intuirono, espressero dubbi, chiesero di studiare seriamente: ancora poche e, soprattutto, non più solo le "brutte o bruttine". Pure quelle carine e qualche bella. Ancora con i tacchi a spillo e i capelli con la permanente, ma sotto i ricci nono solo capricci!
Le madri annasparono tra l'orgoglio, la paura (i cambiamenti fanno sempre paura) e un pizzico d'invidia per quelle giovani donne che non ponevano più solo domande, cominciavano a dare loro risposte, a fare progetti, non solo figli.
Maternità e lavoro? Impensabile, ma fattibile. Il prezzo? Fatica e qualche senso di colpa.
"Soffriranno, mamma, i bambini senza di me?"
"Penso di sì, forse... io..."
"Tu? A casa ma profndamente infelice; io lo sentivo, mamma, il gusto amaro della tua infelicità".
"E il gusto della tua stanchezza non è altrettanto amaro? Lavori il doppio, è questa la tua rivoluzione?"
"Scelgo". Lapidaria, aggressiva.
Aveva cercato conferme dalla madre: inutilmente. Le aveva trovate nelle donne della sua generazione, Quante notti passate a chiacchierare con le amiche. E i mariti? Lontani, a fare carriera, soldi e forse qualcosa d'altro. Meglio non indagare. Ma l'orgoglio dove lo metti?
Lei, come molte altre, portava ormai quasi sempre pantaloni e scarpe basse. Se un uomo ti ama...
"Gli uomini come sono? Come sono mamma?!"
"Sono com'erano, come sono sempre stati".
"Alcuni, mamma alcuni. Non condivido il tuo rancore, l'astio... "
"Tuo marito?"
Silenzio, dubbi, ribellione, orgoglio ferito.
Mamma e zia si erano lamentate in cucina, tra vasi di erbe aromatiche, dei loro uomini, ma lasciarli era sempre stata una minaccia buttata lì, come un maglione gettato su una sedia alla sera che al mattino si ripone nell'armadio. In ordine, al suo posto.
Poi le madri erano dventate vecchie: ora anche lei era nonna. Di nuovo una bambina, un'altra futura donna.
Nella sua cucina ormai non veniva più nessuno, o quasi. Lei non aveva più consigli da dare... soltanto un storia da raccontare.
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