Mia figlia, in lacrime, mi fissava, ripetendo quella domanda: "Se facessimo il gioco della torre, chi scaraventeresti nel vuoto, chi sceglieresti? Chi tra il tuo compagno e me? Chi, chi... mamma?" Avevo presentato ai miei tre figli l'uomo che frequentavo ormai da un anno, dopo aver preparato la cena e indossato il vestito più bello. Nella casa insolitamente ordinata che sapeva di nutella e borotalco, con lo stomaco strizzato dall'ansia, correvo su e giù dalla cucina con i piatti tra le mani e quella risatina un po' stridula sulle labbra. Dentro, quella preghiera "Signore, fa' che si piacciano", mi torceva le budella.
Li avevo guardati - i miei figli e il mio uomo - mangiare, parlarsi, sorridersi, provando la sensazione di essere una famiglia: di nuovo, dopo tanti anni. La figlia più piccola e il figlio non avevano dato segno di particolare disagio; anche lui - pronto ad assumere il ruolo istituzionale di "compagno", emergendo dalla nebbia fumosa che fino a quel momento lo aveva avvolto permettendo a tutti, ipocritamente, di qualificarlo solo come "amico" (della madre) - quella sera sembrava essere all'altezza della situazione
Poi una frase buttata là, un secondo di silenzio di troppo, insicurezze affettive che prendono il sopravvento e "l'amico" della madre diventa "nemico" della figlia. L'imbarazzo era calato sulla stanza come un falco, lui aveva tagliato la classica corda senza bere nemmeno il caffè, e lei, mia figlia, mi si era avventata contro: alla ricerca di rassicurazioni, ponendomi davanti a una scelta che non volevo, non potevo fare, anche perché non era necessaria.
Poi una frase buttata là, un secondo di silenzio di troppo, insicurezze affettive che prendono il sopravvento e "l'amico" della madre diventa "nemico" della figlia. L'imbarazzo era calato sulla stanza come un falco, lui aveva tagliato la classica corda senza bere nemmeno il caffè, e lei, mia figlia, mi si era avventata contro: alla ricerca di rassicurazioni, ponendomi davanti a una scelta che non volevo, non potevo fare, anche perché non era necessaria.
"Da quella torre mi getterei io, se fossi costretta a scegliere!" avevo mormorato, vinta. Definitivamente.
E' necessario fermarsi, puntare i piedi, prendere decisioni, PRIMA... prima che la strada diventi una strettoia, prima che le scelte diventino ricatti.. Anche il fattore tempo incide: un farmaco efficace somministrato in ritardo non salva un paziente ormai al limite delle forze.
All'Ilva di Taranto per troppo tempo la normativa a tutela dell'ambiente è stata ignorata. Ora, che nemmeno i morti possono essere sotterrati senza rischio (smuovere la terra equivale a rimestare tra i veleni, poiché terra, aria, acqua, tutto è contaminato, avvelenato), quale scelta rimane ai vivi? Solo l'alternativa tra morire di cancro o morire di fame. Mia nonna avrebbe sentenziato: "O è zuppa o pan bagnato!"
E Bersani? Ora sulla torre c'è anche lui: la sua alternativa è tra un governo di larghe intese (con Berlusconi) o nuove elezioni (con una legge elettorale inqualificabile e un Paese sull'orlo dell'abisso). Quel tic nervoso che spesso gli percorre il viso bonario di emiliano non lascia dubbi. Sa che sarà lui a volare giù dalla torre: responsabile soprattutto di un'opposizione debole, di più di un errore, ma non di aver portato il Paese allo sfascio. Tutt'al più corresponsabile. La classe operaia distrutta, il tessuto produttivo ridotto a una tela di ragno, i politici meno compromessi fatti a pezzi (anche dal fuoco amico)... mentre sulla torre i veri responsabili del disastro brindano a... a che cosa? Ma alla nascita del governo di larghe(o saranno strette, strettissime?) intese, insomma al solito inciucio.
L'alternativa che resta al Paese è la beceraggine di Grillo e dei suoi adepti?
La Chiesa, vecchia di duemila anni di esercizio del potere, sussurra - anzi grida - la parola speranza. Ai giovani dice:"Non permettete che vi derubino anche della speranza!".
E io - facendo miei le parole di qualche saggio - aggiungo: "Prima che non sia la speranza l'ultima a morire, ma il morire l'ultima speranza".
Mi piace molto. Soprattutto il vivido racconto della scena familiare. Ma anche il ragionamento coerente.
RispondiEliminaGrazie Salvatore
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