Mi vedo La grande bellezza di Sorrentino in un cinema dalle poltrone scomode (soprattutto per la mia disgraziata schiena). Alle mie spalle due donne attaccano a ridere fin dall'inizio e non la smettono. Servillo come Fantozzi... Intanto sullo schermo si succedono le immagini di una città, Roma, bellissima già di suo e che l'abilità di chi usa con maestria la macchina da presa rende, se possibile, ancora più bella. Il film non ha storia: si limita a farci vedere, attraverso lo sguardo, acutissimo ma disincantato, cinico, del protagonista, giornalista, scrittore consacrato da un unico libro promettente scritto in gioventù, lo scorrere dei giorni ripetitivi, fasulli, vuoti di una società, ricca e... guasta. Votata non al piacere, non all'eleganza, non alla ricerca di una forma qual si voglia di senso della vita, ma all'imitazione (mal riuscita) di tutto ciò. Si parla, ma non si comunica, si beve - quel tanto - si fa l'amore, sfiorando freddi e disincantati un sesso da obitorio...
Nulla più stupisce, né potrebbe farlo, anche la povertà è un modo di mettersi in mostra - magari per uno scopo nobile, la raccolta di fondi per i poveri - perché anche la povertà, come tutte le recite, reclama un pubblico e il suo plauso.
Bravissimi gli attori, ottima la colonna sonora, splendide le inquadrature, volutamente, a tratti, incomprensibile e slegato il dialogo, necessario a sommergere in un mare di bla bla bla quel poco o tanto di vero che il mondo racchiude, il film mi lascia addosso un senso d'incompletezza.
Cosa manca? La fantasia, capace di far decollare una storia, la passione (e la compassione), il senso di un futuro. La grande bellezza fa già parte dei ricordi, è passata, il presente non la vuole, il futuro l'avrà ormai già dimenticata. E' questo il messaggio che Sorrentino ci manda?
Nessun commento:
Posta un commento