Riemergo dal dolore, dall’umiliazione, dall’inutilità dell’ultimo
ricovero ospedaliero.
Di nuovo i volontari color arancio, bugiardi e pietosi, e la sirena che ricorda la guerra, di nuovo le
vene che si spezzano appena ti infilano un ago, facendoti sbocciare fiori viola
sulla pelle…
Di nuovo quell’esortazione: “Apri gli occhi, come ti chiami, che giorno è oggi? Di quale mese,
di quale anno?”
Non rispondo, faccio una fatica terribile a parlare, non
sopporto quella voce che non è la mia, quella voce spezzata, rauca, non sopporto gli aghi, le mani fredde che mi
spogliano, il cigolio della barella che mi porta a fare la Tac… La vita mi va
già così stretta, perché infilarmi in quell’imbuto che mi toglie l’aria, mette
a nudo il mio cervello e fa scoprire soltanto nuove magagne?
“Lasciatemi dormire!”
“Allora parla! Laura, come sta?”
“Non collabora… E’
confusa?”
“Sono stufa… “
Se ne avessi la forza, balzerei giù da quella barella e me ne tornerei a casa,
ma, ma la forza non c’è, non riesco nemmeno a sollevare un braccio. Poi, dopo dieci
giorni di ospedale, le prime ammissioni gettate lì, con indifferenza simulata: “Troppi
farmaci, posologia troppo alta… Stia tranquilla, questa volta non è un
ictus. Forse non è nemmeno Parkinson…"
Ritrovo con la rabbia un filo di voce per chiedere: “Allora,
cos’è?”
“Ovviamente un Parkinsonismo… “
“Ovviamente?!”, dopo undici anni di malattia?
“Che tipo di Parkinsonismo?”
“Paralisi sopranucleare progressiva? Atrofia multi sistemica
o… Saperlo!
Mi dimettono per farmi passare il Natale a casa, nella
lettera di dimissione fioriscono i “forse”, di sicuro c’è solo un elemento: la
riduzione di un farmaco è
abbondantemente compensata dall’introduzione di altri farmaci.
Posologia? Dosi alte, naturalmente…
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