In questa giornata tersa come il cristallo, quante donne si
sono alzate dopo una notte insonne, passata
accanto al compagno, tormentate dalla paura, infiacchite dalla
sensazione di non valere nulla, di meritarseli quegli schiaffi di cui portano ancora i segni sul volto?
Tante, troppe.
Come aiutarle, quando è già difficile capirle. Legate le une
alle altre da quel balbettio comune: “Non
è cattivo, a modo suo mi vuole bene … Forse, è colpa mia”, sembrano sperse in
un mondo arcano, un mondo che nessuno dovrà conoscere perché lui, il mostro,
cambierà, deve cambiare. Loro, le donne maltrattate, offese, minacciate
diventeranno più attente, capteranno prima i segnali della burrasca in arrivo, sopporteranno,
insegneranno ai bambini a non far rumore, a non fiatare perché “il babbo è
stanco”, ha lavorato, è nervoso. Lui. Lei, la madre no, la madre, spesso
casalinga, non lavora, come se il carico di lavoro domestico non essendo
remunerato, non avesse diritto di cittadinanza. Oppure lei, la donna, lavora:
se lo è trovato il lavoro, quando ha
deciso di andarsene, di lasciarlo quell’uomo violento, di sottrarsi al clima di
paura che aleggiava sempre sulla casa, al balbettio confuso dei bambini che le chiedevano se il
babbo fosse “cattivo”. Ha conosciuto un uomo, un collega, ma si è accorta che
il marito le sta dietro come un segugio.
Se lo trova davanti all’improvviso, come se l’avesse
partorito il buio. La minaccia, ha visto le sue mani strette a pugno, danzarle
davanti agli occhi e ha avuto paura. Di nuovo, come sempre. Quante sono le donne che pur avendo trovato
la forza per andarsene, continuano a vivere nella paura?
Tante, troppe.
Quante vengono uccise in una mattanza che sembra non avere fine?
Quante vengono uccise in una mattanza che sembra non avere fine?
Tante, troppe.
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