" Il sogno più dolce " di Doris Lessing è stato il libro che ho letto dopo " Sappiano le mie parole di sangue" di Babsi Jones. I sogni che l'una, anche se infranti, ha avuto la fortuna di concedersi, si contrappongono agli incubi, grondanti lacrime e sangue, dell'altra.
La protagonista del libro della Lessing è ancora, come molte donne della sua generazione( e forse anche parecchie di quella attuale)condizionata dal rapporto avuto con l'ex marito, il compagno Jonny, l'affascinante contestatore targato anni '70, che, inossidabile, approda alla vecchiaia scaricando sulla ex moglie figli, nuove compagne fattesi petulanti e astiose, e altri rampolli aggiunti dal seguito di nuovi amori.
Jonny, pugno alzato e sorriso che sottolinea gli applausi sistematicamente seguiti alle sue parole, osserva tutto dall'alto della sua ideologia, troppo impegnato a parlare di rivoluzioni fatte o da fare per potersi accollare i piccoli, banali problemi del quotidiano.
Lo sguardo di lui che spazia sul mondo a trecentosessanta gradi non può incontrare quello di lei, la moglie del compagno, che, appena nati i figli, non varca i limiti del loro appartamento.
Pure lei lavora - Jonny è, a tempo pieno, al servizio della rivoluzione - ma anche legge e studia , e, tra un pranzo da preparare e una cesta di biancheria da stirare, scrive. E pensa, anche se, a differenza del compagno Jonny, pensa parecchio, ma parla poco.
E' una donna generosa, che dà e si dà, relegando per anni all'ultimo posto della graduatoria i suoi bisogni e i suoi desideri, subendo le aggressioni dei figli che , come saggiamente ma dolorosamente intuisce, non possono che prendersela con il genitore presente.
Accanto a lei la madre del marito, ancorata ad una concezione borghese, più formale che sostanziale, della vita, ma capace di adattarsi a un mondo diverso che soltanto la sua umanità, che i problemi e le delusioni non sono riusciti a indebolire, riesce a farle accettare razionalmente.
La Lessing delinea due figure femminili comunque forti nella loro deblezza, anche perchè inserite in un contesto socio-culturale privilegiato.
Poi le vicende del libro seguono uno dei personaggi, non di rilievo fino a quel momento, nel continente africano, quasi a contrapporre ai fiumi di parole, interessate e ambigue, dell'Occidente la fame e la disperazione dei Paesi sottosviluppati.
L'autrice sembra dire che quando lo stomaco è vuoto i pensieri ruotano unicamente intorno a questo bisogno essenziale. E' necessario avere lo stomaco ben pasciuto per concedersi il lusso di arzigogolare sui massimi sistemi, e qui si delineano le insormontabili divisioni: tra paesi, persone, appartenenze di genere..
Divisioni che accennano a contrasti essenzialmente verbali e, se sono guerre vengono combattute in silenzio, bandendo la violenza anche dal linguaggio usato.
E, a mio avviso, la parte meno convincente del libro, perchè il self-control inglese dell'autrice mal si adatta alla descrizione del disastro africano.
La Jones si cala invece, calzata e vestita, nell'orrore, nel massacro, nella distruzione della guerra: il corpo, in sintonia con il sangue dei vinti e dei vincitori, che sanguina e soffre. Tutto è rosso, sporco, infangato, infranto: tanto gli oggetti del vivere, o non vivere quotidiano, quanto le speranze, le ideologie, i sentimenti.
E il linguaggio è al servizio di questa furia.
La Lessing si muove in case inglesi, sullo sfondo di pareti tapezzate di libri e sete a fiori e uccelli,e - se qualche lacrima cola - è sugli arrosti e nelle teiere, riscaldate per il té alle cinque del pomeriggio, mentre l'ironia stempera il dolore, e la delusione immalinconisce, ma non divora e men che meno devasta.
Nella realtà del conflitto o dei conflitti all'interno dalla ex Jugoslavia, la Jones, spersa in un condominio semidistrutto, circondata da presenze spettrali e dolenti, rese folli o immemori dalla violenza di una guerra che si scontra con la presenza di aiuti umanitari, altrettando violenti nella loro tipologia predatoria, non filtra nulla, non nasconde niente, vomita l'indigeribile e lo vomita addosso al lettore.
La misura dell'una, che esamina, soppesa e stacca da sè, prendendo le distanze per autoconservarsi, per mantenere intatta l'immagine di sè che lei e gli altri hanno,
è l'opposta dell'irruenza dell'altra, che cerca l'inferno non per evitarlo ma per immergervisi. La debolezza di un mondo vecchio, stantio ma comodo e comunque rassicurante, che secerne apparente saggezza e accettazione e pazienza, forse perchè altro non potrebbe permettersi, contrapposta alla forza vitalistica di chi ha perso tutto e sfida la morte per una radio rotta o per lasciare un fiore su una tomba.
La Jones scardina un modo di scrivere, ne sovverte le regole, mescola i generi, forza, esasperandoli, i concetti: è un fiume in piena che porta ad un altrove che, personalmente, avevo solo intuito.
Vi consiglio la lettura di entrambi i libri, anche se diversissimi.
Forse in quelle cucine, in quei salotti, davanti a quelle ricche biblioteche troppi hanno abdicato ai propri principi,hanno finto di non sapere, o non capire.
Troppi, forse, hanno taciuto.
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