Ricordo un episodio della mia infanzia: avrò avuto dieci o undici anni, mia sorella uno di più.
La guerra era finita, il Paese impegnato nella ricostruzione. Muratori, con il cappello fatto con un foglio di giornale, lavoravano sul terrazzo dell’ultimo piano, dove sventolavano al sole le lenzuola stese ad asciugare.
Riparavano il tetto che portava ancora i segni dei bombardamenti anglo-americani. Un giorno, lavorando, provocarono il crollo di uno dei solai, ma senza suscitare proteste perché il proprietario dell’appartamento cui spettava il solaio, un anziano professore ebreo, era scomparso nell’infamia dei campi di concentramento e l’appartamento era ancora lì, quasi in attesa del ritorno di chi l’aveva per tanti anni abitato.
Quell’appartamento vuoto stuzzicava la nostra fantasia di bambini, tanto che io avevo giurato e spergiurato di aver visto dalle finestre della mia casa, che dava sullo stesso pianerottolo, un’ombra muoversi guardinga nell’appartamento del professore.
Per questo motivo, il giorno del crollo, quando i muratori finirono il loro lavoro, noi bambini ci calammo dal tetto nel solaio del signor Gospez.C’erano degli scatoloni, che aprimmo impazienti, ma che ci lasciarono piuttosto delusi. Contenevano libri, soltanto libri e vecchi quaderni ingialliti dal tempo. Delusi stavamo per andarcene, quando uno scatolone ancora chiuso attirò la nostra attenzione. Lo aprimmo: conteneva minuscole scatole di tutti i colori. Vuote. Erano veramente belle, anche se non riuscimmo a capire a cosa potessero servire. Ognuno di noi se ne mise in tasca qualcuna , ma mia sorella e io ne prendemmo più degli altri perché mia sorella si tuffò nello scatolone e, a piene mani, me ne riempì il grembiule.
Arrivate a casa, era l’ora di cena, mostrammo tutte orgogliose il tesoro ai nostri genitori e mia sorella, ridendo, disse: “Nessuno ci ha viste e quindi ne abbiamo approfittato”.
Lo schiaffo di mio padre ci colse di sorpresa, mentre diceva:” Riportate tutto dove l’avete trovato. Sono vostre?”
Questo episodio mi fa riflettere ogni volta che mi ritorna in mente: qual è il bambino che non ha rubato la marmellata e cosa, in primis, ci trattiene dal rubare se non la paura di essere scoperti, con l’inevitabile corollario di conseguenze?
L’istinto predatorio è uno degli insopprimibili istinti dell’uomo: quando le merci cominciarono a viaggiare via mare apparvero i pirati che, per secoli, hanno imperversato anche sui mari di casa nostra. Il fatto poi che accanto alla pirateria si fosse sviluppata la corsa - dando vita ai corsari, che agivano su mandato dei re o signori di allora, ma sempre ladri erano - la dice lunga sull’intreccio malavita/potere che non è certamente stato un’invenzione recente.
E i pirati/negrieri?
E la mafia?
E la legittimità dei saccheggi in guerra per i vincitori?
E gli scippi, i furti in appartamento, i borseggi?
Furti, furtarelli e rapine in grande stile nonché organizzazioni ispirate a principi predatori…
Per questo motivo - Montesqieu insegna - esiste un potere giudiziario al quale deve essere assicurata la totale indipendenza e autonomia rispetto agli altri due poteri dello Stato, quello legislativo e quello esecutivo.
Per questo motivo la Costituzione deve essere difesa con le unghie e con i denti: cerchiamo di non dimenticarcelo, anche perché pur essendo in parte un “libro dei sogni” (diventa, infatti, operativa attraverso leggi e regolamenti di attuazione) o forse proprio perché è tale, rappresenta l’impianto di base al quale un popolo ha scelto d’ispirarsi. La nostra Costituzione è in questo senso un piccolo gioiello di libertà, democrazia, tutela di diritti essenziali e rigore formale.
Andrà affiancata a questo oggetto misterioso e inquietante che è la Costituzione Europea (leggi Trattato di Lisbona).
Evitiamo che parta già mutilata.
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