L’ultima volta in cui venne zio Checco gli chiesi di farmi vedere lo studio di nonno Alfonso. Io ero la più piccola dei cugini ed ero anche piuttosto timida, poco spericolata. Dire che avevo visto lo studio del nonno, sorvolando sul fatto di essere accompagnato da un adulto, avrebbe fatto schizzare alle stelle le mie quotazioni e tutti mi avrebbero riservato un trattamento ben diverso. Chi si sarebbe azzardato più a chiamarmi chiocciolina? Ma lo zio, dopo avermi guardato per un istante senza parlare, mi disse: ”Mi dispiace Roberta, io in quella stanza non ci metterò mai più piede. Lo sai cos’è successo?” “ Lì è morto nonno Alfonso” risposi un po’ impacciata.
Lui sembrò guardarmi, ma c’era nei suoi occhi una vacuità che mi spaventò. Lentamente, quasi parlasse tra sé e sé disse: “Lì è stato ucciso il nonno” Io lo guardai sconvolta senza avere il coraggio di porre ulteriori domande e, approfittando del passaggio di Nunziatina, mi attaccai alla sua gonna e la seguii, allontanandomi dallo zio.
Non vidi mai più lo zio Checco: non era trascorso nemmeno un mese dalla sua partenza, quando un funzionario dell’ambasciata italiana ci comunicò che era morto in Egitto ucciso in una rissa. Mio padre partì per andare a riprenderlo e tornò dopo una settimana. Il funerale al paese fu grandioso.
Perdere lo zio Checco fu il dolore più grande della mia infanzia che in parte superai quando nacque mio fratello, con un parto che per puro miracolo non uccise mia madre. Mio fratello era il ritratto dello zio, di cui portò il nome, per volontà di mia madre.
Un giorno, mentre lei lo fasciava notai che aveva una voglia a forma di cuore sul pisellino.
Mentre se lo prendeva tra le braccia, glielo feci notare e lei sorridendo distratta mi rispose: “L’avevano anche zio Checco e nonno Alfonso”. Poi arrossì. Violentemente.
Non le chiesi, né in quel momento né in seguito, come mai lo sapesse.
Nonna Clotilde che cambiava la versione dei fatti a ogni stormir di fronda non smise mai di dirmi, fino alla sua morte:” E tu chi sei, nessuno di noi è biondo…povero figlio mio”
La stanza dove mia madre la segregò nei suoi ultimi anni di vita venne chiamata “La stanza della pazza” ma io la chiamai sempre “La stanza di nonna Clotilde”.
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