domenica 28 giugno 2009

Il fantasma esce di scena

Il grande Philip Roth riappare sulla scena, inquietante come un fantasma, il fantasma di se stesso.
Perché cos’è un uomo che la vecchiaia ha aggredito e vinto se non l’immagine sfocata di ciò che è stato? La sessualità è un ricordo che si fa di giorno in giorno più sbiadito, l’aggressività è scomparsa sperperata in mille battaglie inutili, spesso asservita al gioco sessuale per colpire la fantasia di una donna o per sentirsi potenti quando l’impotenza avrebbe richiesto uno sforzo di fantasia, non l’opposto.
Il protagonista non è l’autore, settantenne, acciaccato, incontinente, che è solo pretesto per descrivere l’ultima fase della vita, quella in cui tutto è insulto, quasi a rendere la fine liberatoria, un alzare bandiera bianca alla morte, diventata finalmente più attraente della vita.
Ironico, caustico, pervaso di malinconia aspra, che aggredisce come solo la cultura ebraica sa fare in una descrizione minuta, da cesello, di caratteri che emergono, sbalzati, dalla sua penna, precisi e inconfondibili, e che sono quelli che ci circondano, ci opprimono, ci eccitano e ci infastidiscono, perché la messa a fuoco è perfetta e il dolore, la rabbia , il rimpianto, da lui provati, ce li regala scontroso, senza volere ringraziamenti, né gratitudine, soltanto per dare loro un senso, o illudersi, per l’ultima volta, di darlo.
Quale titolo, per questo splendido libro, migliore de “Il fantasma esce di scena”?
Grande, grande, grandissimo Philip Roth!

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