Le era caduto un dente, non proprio caduto come succede ai bambini, con il dente nuovo che già biancheggia, rassicurante. Si era spezzato a metà, un po' più di metà.
Si era guardata allo specchio, meravigliata, poi angosciata.
Quando era esploso il sollievo? Realizzando che era finalmente successo ciò che da anni temeva, che la faceva stare malissimo. Era uno dei suoi incubi ricorrenti: quante volte si era svegliata in piena n0tte, sudata, una mano sulla bocca a verificare che ci fossero ancora, quei bastardi. A ogni caduta o estrazione nuova il dentista appariva più falsamente ottimista e nel guardarla - il maledetto, a bocca socchiusa, mentre lei spalancata fino alle tonsille cercava, senza riuscirci, di assumere un'aria dignitosa - le proponeva qualche diavoleria, sempre più invasiva e costosa. Era per questo motivo che lui sorrideva a trentadue denti: non solo perché li aveva tutti, ma anche perché allo sdentarsi di lei ampliava la villa al mare.
E così pensò che avrebbe dovuto brindare: uno in meno contro cui combattere, che non avrebbe prodotto ascessi o granulomi e non si sarebbe cariato rintronandola di dolore proprio nelle due settimane di ferie in un'isola greca. E avrebbe dovuto piangere? Tutto ciò che possiedi ti possiede - aveva detto qualcuno e lei stava sentendo un gustino, un incredibile sapore di... di? Era la libertà che sapeva di panna?
Non aveva più la paura terribile che le succedesse: era successo, era sopravvissuta, era libera di vivere senza quel dente. Ormai era tutto in caduta libera: che sollievo lasciarsi andare, lasciar cadere tutto ciò che era attratto verso il basso. Legge di gravità si chiamava, ma abbandonarvisi apriva le porte alla leggerezza. I vecchi che ricordava nei suoi anni infantili erano sdentati e le vecchie quando ridevano si coprivano la bocca con la mano, in un insopprimibile rigurgito di civetteria. Liberarsi dal peso, non di essere, ma di fingersi giovani: ridere ignorando le zampe di gallina intorno agli occhi, sfidare il sole in pieno viso, accettando l'abbinamento di un'anima ferita dalla vita con un corpo altrettanto logoro, il passo stanco, di correre verso il nulla, poiché al capolinea ci si arriva lo stesso e, mentre si va, guardarlo questo mondo che è ancora lì, bellissimo e grottesco, con i nostri occhi gonfi ma esperti e sempre e comunque curiosi.
Con un sorriso sdentato attese il tonfo.
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