Il caldo fondeva il cervello in quell'estate che si annunciava torrida.
Seduta davanti a un tavolino, i gas di scarico che si diffondevano nell'aria a zaffate aspre e regolari, in quella Milano che nessuno si sarebbe più sognato di bere, pensava.
" Cosa le porto?"
" Qualcosa di fresco.."
" Alcolico o analcolico?"
" Una coca..."
Aggiunse" Non ghiacciata."
Poi rise con quella risata di gola, gorgogliante. Qualcuno si voltò a guardarla e lei gli fece un gestaccio con la mano. Poteva farle male: più di quella lettera che aveva ritirato al Centro Tumori?
Il tempo passava: l'aria non sapeva più di croissant, sui tavolini arrivavano insalate e panini farciti, mentre il traffico s'ingolfava e i clacson facevano a gara a chi ululava più forte.
Il tempo passava.
Caffè in tutte le varianti possibili, per essere efficienti.
'Milano non è città per perdenti' ...pensò.
Il cameriere cominciava a osservarla.
Ordinò un caffè. Con panna.
Il tempo, ritmato dalle campane di qualche chiesa che gareggiava con il rumore del traffico, scampanava a ogni volger di ora. ' Din, don, campanon, tre civette sul canton che facevano l'amore con la figlia del dottore...
Le sei.
Le sette.
Il caffè si svuotava nella sera che, spintonando il giorno, prevaleva.
Nel condomino di fronte si accendeva di luce il riquadro di una finestra.
Strade deserte e gracchiare di televisori.
Il cameriere puliva i tavolini con uno straccio umido e guardandola appoggiava l'indice della mano sull'orologio che aveva al polso, sollevando un sopracciglio.
Poi abbassava a metà la serranda del bar. Rumorosamente.
Il tempo passava o era già passato?
Lei non lo temeva più.
Il cameriere la ricordava, seduta sempre nell'ultimo tavolo in fondo.
Prendeva il caffè, sempre con la panna.
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