Entrando nella camera Sigismondo trattenne il respiro, poi, deciso, si diresse verso il letto e accese il lume sul comodino. La luce della fiammella svelò il grande letto in perfetto ordine. Vuoto. Si guardò intorno: della culla non c'era traccia. "Teresina" gridò, l'urlo che rimbombava nella stanza, mentre si precipitava nel corridoio, di porta in porta, continuando a gridare, affannato, furente...
"Teresina, svegliati! Dove ti sei cacciata?"
L'ultima maniglia sulla quale si era avventato si abbassò, ma la porta rimase chiusa, evidentemente sprangata dall'interno. Pur tempestandola di pugni e calci, non cedeva. Spossato, le braccia che gli ricadevano inerti lungo i fianchi, Sigismondo appoggiò l'orecchio all'anta della porta e rimase in ascolto. Un vagito proveniva dall'interno, mescolandosi a un sussurro, un mormorio incomprensibile.
Ah, temendo la mia reazione, si sono chiuse a chiave nella stanza, tutte e tre...Benissimo, ormai è notte e io sono stanchissimo. Affronterò la situazione domani mattina - pensò - e chissà che la notte non mi suggerisca cosa fare, come comportarmi.
Provava, meravigliandosene, una sensazione di sollievo all'idea che la moglie fosse ancora lì, accanto a lui, nella grande casa. Temeva la solitudine, il confronto con i suoi fantasmi che si sarebbero alimentati da quella notte di un nuovo rimorso, acquattato nella sua mente, pronto a trasformare in incubi i suoi sogni notturni.
Si staccò dalla porta e, brancolando nel buio, raggiunse la sua camera da letto. Pochi secondi dopo crollava, ancora vestito, sulle lenzuola, le tende del baldacchino che si chiudevano su di lui, calando sul letto come un sipario su uno spettacolo teatrale.
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