Era una giornata d'inverno. La nebbia, che si annidava in ogni angolo di quella casa ancora estranea, aveva il gusto aspro della solitudine. I figli lontani, il compagno altrove, il lavoro spazzato via dal pensionamento.
La sua vita si era impantanata, girando a vuoto in un mare di fango...Le sembrava di affondare in quel fango. Ogni giorno un po' di più. Tra capo e collo una diagnosi medica infausta a darle il colpo di grazia. La depressione l'aggrediva.
In cantina ancora scatoloni imballati.
La gatta, che dalla finestra si era lanciata a cercare un po' di vita, era ruzzolata attraverso un vetro rotto nella sua cantina e da lì, miagolando spaventata, aveva comunicato la sua posizione, nonché la sua disperazione. Sbuffando era scesa a recuperarla mentre, soffiando inferocita, non si decideva a scendere da una pila di scatoloni.
Sul più alto risaltava quella scritta a pennarello: computer.
Era il vecchio computer di suo figlio che aveva maldestramente imparato a usare e che, come un salvagente lanciato a un naufrago dall'alto di una nave, avanzava verso di lei.
L'aveva afferrato.
Il giorno successivo era già a picchiare sui tasti.
Quando aveva deciso di aprire un blog?
Quando e come aveva incominciato a risalire la china? Quando il tempo, non più sgranarsi vuoto di ore, era diventato ricchezza a cui attingere per fare ciò che non aveva mai potuto fare? Aveva scoperto una persona che non sapeva esistesse, le sue passioni, le sconosciute potenzialità, cominciando a comunicare, a confrontarsi. La Rete, a differenza del mondo fuori, ascoltava anche la sua voce, incurante degli anni che l'avevano rinserrata nella prigione senza scampo delle sue rughe. Il suo contributo, se valido, s'incanalava in un fiume di esperienze e conoscenze che s'ingrossava, si sviluppava dando origine a quella intelligenza connettiva e collettiva che già coglieva in quei nativi del web che erano i suoi nipoti e che intuiva sarebbe diventata la porta d'accesso a un altro mondo. Si sbriciolava un confine, lo sguardo abbracciava spazi inimmaginabili che la dimensione virtuale le metteva a disposizione. Lei, donna che per una vita aveva lottato per conquistare brandelli di libertà, andava a briglia sciolta nella blogsfera: una sensazione esaltante che invalidava gli abituali concetti del tempo e dello spazio.
Erano queste sconfinate praterie dell'informazione e del sapere, nate dal popolo del Web, che facevano paura? Così sembrava. Un esercito di omini piccoli piccoli era già pronto a piantare paletti, alzare recinzioni, costruire muri. Ma il mondo non aveva bisogno di muri, aveva bisogno di libertà: come lei! La blogsfera l'aveva salvata, imbrigliando anche la sua malattia che, davanti all'entusiasmo e alla forza che la scrittura le aveva dato, si era rintanata in un angolo, assopendosi. Mentre digitava quelle tre parole che erano diventate una bandiera, un modo di riconoscersi tra simili, un largo sorriso le illuminò il volto. "Yes, we can " scrisse. La nebbia si sfaceva, leggera, sotto un pallido sole invernale.
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