Mi è capitato recentemente d'incontrare, dopo parecchi anni in cui non c'eramo viste, una vecchia amica diventata, inevitabilmente, anche un'amica vecchia. Il tempo passato, che implacabile l'aveva segnata, mi fece cogliere immediatamente nelle sue rughe il riflesso delle mie. Ci sedemmo a prendere un tè, a raccontarci...Quanti anni, quanti ricordi. Lei non era cambiata. Per niente. Era stata una belle donna, formosa, vestita in modo da sottolineare quella sua femminilità un po' esuberante. Anche quel giorno indossava sandaletti legati alla caviglia, una gonna stretta, una maglietta scollata e attillata. Si era truccata pesantemente: il rimmel appesantiva le palpebre gonfie e il fondotinta accentuava le zampe di gallina, creando l'effetto cerone. Era coinvolta in una turbinosa storia d'amore con un uomo sposato. Come allora. Mi chiesi, non le chiesi, se fosse lo stesso. Mi raccontava, con le stesse parole, una storia nuova che, vissuta con le stesse modalità, diventava una replica di un dejà vu. Come allora mi ascoltò distrattamente, lasciando scivolare uno sguardo di commiserazione sui miei pantaloni neri con camicia dello stesso colore, rigorosamente fuori dai pantaloni, che il girovito non è più quello di una volta, poi, sorpresa, mi chiese: " Perché non ti tingi i capelli? Eri bionda"
" Ero " le risposi, e in quel verbo al passato sintetizzai un cambiamento che partendo dai capelli aveva investito tutta la mia vita.Mi guardò senza capire. Non le parlai della fatica che mi era costato, della guerra furibonda che avevo ingaggiato con me stessa, dello sforzo iniziale di spostare la mia attenzione dai problemi di chi amavo ( attribuendo a questi problemi la mia infelicità) ai miei problemi. Se risulta difficile cambiare un'abitudine, che è soltanto ripetitività di comodo, è durissimo cambiare qualcosa nella struttura portante della personalità che così si è formata sulla base dei cromosomi che ci hanno caricato in spalla al momento della nascita, dell'ambiente in cui siamo cresciuti e delle persone con cui abbiamo condiviso soprattutto le esperienze fondamentali dei primi anni di vita. Cambiare aveva significato per me andare all'origine, alle motivazioni di certi comportamenti, ripescare ricordi rimossi - i sogni e un'ottima terapeuta mi avevano aiutata - scoprire l'umiltà del dubbio e consegnarmi al ciclone del cambiamento sapendo che ci sarebbe stato quel momento terribile in cui, gettate a mare tutte le sicurezze reali o fasulle alle quali mi ero aggrappata per sopravvivere, mi sarei trovata, inerme, vulnerabile, ancora priva delle nuove sicurezze che avevo elaborato per vivere.
Vivere o sopravvivere?
Sceglier o subire?
Vivere nei bisogni o soddisfare i propri desidei?
"Come sei cambiata! Non ti avrei riconosciuta" mi disse.
"Cambiare è morire, ma per rinascere" le risposi prima di lasciarci.
Mi guardò inquieta, perplessa, poi dopo avermi baciata, attenta a non sbavare il rossetto, si allontanò, caracollando incerta sui suoi tacchi stratosferici.
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