Teresina, lo scialle sulla testa, imboccò la strada che portava al ghetto. Non amava quelle strade strettissime che il sole non illuminava e che lei percorreva in fretta, il passo agitato e il volto paffuto, al quale la preoccupazione dava un'espressione finalmente adulta, teso, mentre cercava la casa della levatrice. Doveva essere nei paraggi, sempre che ricordasse bene. Non si era sbagliata - pensò, attaccandosi al battacchio il cui suono sembrò rimbombare all'interno della casa. La levatrice si affacciò e, riconoscendo Teresina, un'espressione spaventata le alterò il viso, mentre, aggressiva, le diceva: "Ancora voi! Se riguarda la vostra padrona non ne voglio sapere nulla. Andatevene!", facendo il gesto di accostare il portoncino. "Per l'amor di Dio, datele una mano prima che faccia una pazzia". La donna sembrò esitare e Teresina ne approfittò per infilarsi nell'ingresso, mentre l'altra, quasi parlando tra sé e sé, borbottava: "E non sarebbe la prima".
Poi, aggiunse:" E, ora, che problema ha?"
Teresina, stropicciandosi le mani, disse:" E' incinta".
" Di nuovo? Ma di chi? Questa volta si è fatta furba, la vostra padrona..." e la levatrice aggiunse "Non voglio problemi con il Veneziano".
Teresina borbottò:" Vi pagherà bene" ma la donna di fronte a lei, che appariva irremovibile, le stava già indicando la porta con un gesto e un'espressione che non denotavano tentennamenti. Pochi secondi dopo, nel vicolo rimbombava il rumore del portone sbattuto con violenza.
La servetta ripercorreva il vicolo, tradendo un'agitazione che andava aumentando all'idea di trovarsi di fronte alla padrona senza essere riuscita a combinare nulla. Andava come un refolo di vento, incontrando rari passanti, che scansava senza quasi vederli, conscia di trovarsi in strade poco sicure.
Con un sospiro di sollievo, uscì dall'intrico dei vicoli e, dopo aver attraversato una piazza, si trovò in una strada più ampia. La brezza sapeva già di mare e oltre le case spuntavano gli alberi più alti dei velieri ormeggiati nel porto. Un marinaio ubriaco le fece un complimento, tentando di afferrarla, e Teresina gli sfuggì dalle mani, urlandogli " Ma va in malora!" mentre, quasi di corsa, infilava l'ultima strada e alzando gli occhi intravedeva alla finestra Maria, con Angela tra le braccia.
Entrò nell'atrio, mentre la padrona scendeva lungo le scale.
"Allora?" e Maria era ancora più pallida della camicetta che indossava. Soltanto gli occhi le brillavano, febbricitanti, nel volto teso, mentre la servetta, sgomenta, allargava le braccia e faceva un cenno di diniego con la testa. In quell'istante la porta si apriva e il Veneziano, seguito dal Moro, entrava nell'ingresso, diretto all'ufficio del pianterreno. Un silenzio, carico d'imbarazzo, calava sull locale. Gli occhi del Moro scivolarono sul volto di Maria, sul profilo da cammeo, inchiodandosi sulla bocca, piena e tremante, sulla quale sembrava essersi arenato, come una nave in secca, il saluto. Si mosse per primo il Veneziano dicendo: "Teresina, dove Diavolo ti eri cacciata? Quando servi non ci sei mai! Portaci del caffè, bello forte. Siamo nello studio", poi, senza degnare di uno sguardo la moglie, imboccava deciso il corridoio davanti a lui, seguito dal Moro. (continua...)
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