Se c'era una cosa che lei non riusciva a reggere era la sofferenza; non soltanto la sua, anche quella degli altri. Quella che nasceva da motivazioni reali, non da paturnie premestruali. Così quando la figlia le arrivò in cucina di primo mattino e le vomitò addosso la sua sofferenza, lei si aggrappò al tavolo come se si trattasse di un tronco trovato in mare dopo un naufragio.
"Ti faccio un caffè?"
Cercava di guardarla quanto meno fosse possibile, come succedeva ai passanti per strada che, quando lei li sorprendeva a fissarla, arrossivano come alunni sorpresi a copiare dalla maestra.
" Non ho voglia di fare colazione".
" Ti farebbe bene prendere qualcosa di caldo..."
La sua risatina la irritò, ma cercò di non darlo a vedere, mentre zuccherava il suo tè.
" Dici?"
" Dico".
" Se permetti contraddico"
" Non me ne frega un fico!"
" E io scappo a Portorico... Ma adesso, basta! Sei grande per questi stupidi giochi. Hai quasi diciotto anni Lodovica. E' arrivato il momento di crescere. Sei una donna!"
" Io non posso crescere".
" Tu non vuoi crescere!"
E crollò a sedere mentre lo sguardo le scivolava su quel naso che sarebbe stato troppo lungo persino per un Pinocchio sorpreso a mentire, sui capelli color stoppa, sugli occhiali dalle lenti spesse. Neanche la bocca era la sua o quella del padre, quel taglio senza labbra che i cromosomi avevano decretato essere la sua bocca, stampato in faccia come una sciabolata, la meravigliava, ancora la stupiva che sputasse parole e non sangue come una ferita.
Aveva scelto quel nome, Benedetta, quando il ginecologo, il camice ancora macchiato di sangue, le aveva detto che non sarebbe sopravvissuta. Ma Benedetta afferrata la vita, aveva stretto i pugni e non l'aveva più mollata. La morte, delusa, aveva alitato il suo soffio su di lei: era cresciuta poco, stentata come un geranio sul davanzale di un vicolo buio. Stortarelle le gambe, grigia la pelle. Soltanto i piedi erano grandi, assurdamente grandi per quel corpicino, come se la voglia di crescere fosse partita baldanzosa e si fosse quasi subito stancata di faticare, afflosciandosi come una vela senza vento.
Lo sguardo indecifrabile della figlia e quel gioco assurdo, con il quale obbligava l'interlocutore dopo le prime frasi a esprimersi in rima, spaventava e devastava la madre.
Ma sapeva che avrebbe potuto fare poco, nulla. Il medico l'aveva detto subito e aveva scosso la testa, imbarazzato.
"Suona, ma teniamolo lontano".
"Devi andare, lo sappiamo".
"Me la darai la mano?"
"Te la darò la mano: andiamo".
Il boato esplose con la violenza di un urlo troppo a lungo trattenuto. Pochi minuti e il silenzio attonito del quartiere veniva squarciato dall'urlo delle sirene delle ambulanze.
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