mercoledì 14 luglio 2010

La vita è scrittura e la scrittura è vita.

Perché si scrive? Non per sbarcare il lunario, anzi quanti furono gli artisti, gli scrittori, che dedicando  alla loro passione spesso soltanto le ore della sera, già stanchi e provati dalla fatica della giornata, in quei ritagli di tempo che la notte concedeva, scrissero, lasciandoci romanzi memorabili scaturiti  da quell'intreccio di passione, capacità e stanchezza che, forse, favoriva l'abbandono. Sospesi tra sonno e veglia, affidavano alla notte, perché li custodisse nel suo ventre capace, i loro più intimi pensieri, le stringate conclusioni di riflessioni interminabili e segrete, la magia di parole riposte e lontane. Lavoravano durante il giorno, occupazioni spesso modeste, oscure e  scrivevano di notte. Gli occhi febbricitanti di Kafka, arsi e neri di passione e intelligenza non denunciano forse notti insonni popolate di fantasmi che la sua penna tratteggiò individuandone le sembianze? Allora, se non per denaro, è per diletto che si scrive? Non direi e, da donna che ha partorito creature, posso affermare che un romanzo viene alla luce, come un figlio, con fatica, dolore... sforzo. E' prima un marasma indistinto di emozioni e situazioni: confuse, a volte appena abbozzate, tutte da definire. In mezzo alcune immagini, perfette in tutti i particolari, ma avulse dal contesto che si innalzano come picchi su una pianura a sottolinearne il piattume. In questo marasma lo scrittore affonda le dita e pian, piano o forsennatamente - poiché il cammino, il percorso artistico è individuale e quindi personalissimo - individua un percorso, avanzando come in un deserto, apparentemente alla cieca, ma in realtà seguendo una melodia che il suo talento, magico pifferaio che lo ammalia e lo schiavizza, orchestra. Tappa dopo tappa lo segue come una coda una storia, la storia che lui sta creando e che si nutre di ciò che lui è, è stato e sarà, ma che da lui è destinata a staccarsi e a vivere in piena autonomia, gravida non solo delle sue emozioni, ma della capacità che lui ha di esprimerle ritrovandosene dentro le tracce. Come un figlio, al termine della gravidanza, la storia è lì, completa - bella o brutta che sia - pronta per iniziare una sua vita autonoma.
E lo scrittore? Gli mancherà quella storia con la quale si è fuso e confuso per un tempo più o meno lungo? O si sentirà sollevato, sgravato e libero di andare, il passo più lieve, lo scatto che sottintende una riconquistata libertà?Sarà più libero e... e più solo. E un'altra storia comincerà a frullargli nel cervello e questa volta, forse, il viaggio sarà per mare, affronterà l'ignoto, vento in faccia e aria che sa di mare. Perché chi scrive è un viaggiatore dell'anima, è un inquieto, appassionato, esploratore delle emozioni, è la madre che partorisce una storia e il padre che ne traccia il percorso consequenziale e, ripeto, non lo fa né per denaro, né per diletto: scrive  perché non potrebbe non farlo, perché per lui la vita è scrittura e la scrittura è vita. Tutto qui.

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