Buon segno: la gatta, tranquilla, si è pappata la sua scatoletta di salmone - penso, vagamente rassicurata, mentre il rumore di una macchina in corsa rompe il silenzio che batte alle mie finestre. I ritmi lenti della domenica non mi riguardano: per me - pensionata - è sempre domenica e nemmeno la voglia della terra di ballare la samba si farà condizionare dal giorno festivo. Ricordo le parole di mia nonna, riferite a quell'inverno terribile del Millenovecentoventinove, i suoi ricordi che sfarfallavano nell'aria insieme alla farina, mentre con il mattarello tirava la pasta... "Tuo nonno aveva perso il posto ai Cantieri - non c'era lavoro, non c'erano soldi, mandavo tua madre, che si vergognava come una ladra, a prendere il pane "a puff" (a credito), raccomandandole di dire, al momento di pagare, di metterlo sul conto... e pure il tempo sembrava avercela con noi. Mai visto un inverno così rigido. Forse dipendeva dalla fame che ci rendeva deboli. Dalla terra spaccata dal gelo solo qualche cavolo emergeva. Mezzo gelato. Patate, cavoli e tagliolini di farina impastata con l'acqua - questo si mangiava. Noi donne, con i bambini più grandicelli dietro, andavamo per i boschi a fare legna, ma il freddo era terribile, gelava l'aria ma anche la speranza di un futuro. Al mattino, ai bambini che andavano a scuola si dava un pezzo di legno e un po' di pane scuro. Avevano lo stesso colore e lo stesso gusto, quello della segatura".
Millenovecentoventinove duemiladodici... Ho l'età di mia nonna, ma non il suo indomabile coraggio.
Quando la terra, l'altro giorno, ha sussultato e ha tremato rabbiosa, ho pensato a lei e ho sussurrato: "E' un gran brutto inverno, nonna, anche questo del duemiladodici..."
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