Calava la sera sulla cittadina infreddolita, dove la neve, ridotta in poltiglia fangosa che quasi nulla conservava del suo originario candore,
si accatastava ancora lungo le strade. L'amica le sedeva di fronte, in poltiglia anche lei, eh sì che tracce della sua bellezza, a osservarla con attenzione, ancora emergevano prepotenti, come prepotente, quasi aggressivo, era stato il suo fulgore. Bella era stata, bellissima, ma ora appariva gonfia, pallida, i riccioli scuri aggrovigliati, scomposti, a celarne a tratti lo sguardo sperso, da animale braccato.
Parlava lentamente, scegliendo con cura le parole, quelle stesse parole di cui negava la validità, bocciandole come inutili, in quel suo ripetere e ripetersi: "Non serve parlare, anzi porta fuori strada, consente di mentire, di nuovo, a se stessi. Le parole non sono spiegazione, chiarimento, via d'accesso all'incomprensibile, sono muro, barriera, ultima trincea a difesa di una speranza che è pura illusione, sogno infranto che non abbiamo la forza di contemplare".
La ascoltavo e condividevo, anche se non del tutto.E una frase si legava all'altra, come perle in una collana che, alla fine, non abbellisca ma strozzi...
Troppe parole inutili. Avremmo bisogno di silenzio per risentire le emozioni salire alla superficie, per liberarle dalla zavorra del "detto". Avremmo bisogno di capire perché siamo naufragati proprio lì, su quella costa tanto temuta, razionalmente evitata. Combinazione? Casualità? Fato? Magari! Sarebbe consolatorio non avere responsabilità, imputare al vento e alle correnti, che a noi non obbediscono, di aver fatto naufragare la nostra barca su quegli scogli tanto temuti.
Ma quella paura che le parole negano, la pelle la lascia filtrare, percepire: un vissuto in netta contraddizione con il detto.
La risposta degli altri, a ciò che siamo non a ciò che diciamo, è lo specchio che ci rimanda alla nostra verità...
Nulla è più doloroso, e altrettanto temuto, della verità, ma scoprirla è, forse, l'unico "senso" del nostro insensato vivere.
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