Il treno correva veloce inquadrando una pianura dai colori spenti, percorsa da un vento freddo, ancora invernale. Viaggiatori infreddoliti salivano alle varie stazioni, per piombare come sacchi sui sedili e riaddormentarsi. Accanto a me un signore elegante si attaccava al telefonino cincischiando fra le carte che teneva appoggiate sulle gambe... Parlava d'affari; sembrava angosciato, incerto sulla tattica da seguire. Una ragazza dall'aria spiritata, la testa un'esplosione di capelli come onde in un mare infuriato, andava avanti e indietro, diretta forse alla toilette, trascinando le gambe, il volto da Medusa attonita sotto l'intreccio dei capelli.
Il silenzio era rotto soltanto dallo sferragliamento del treno e dagli squilli dei telefonini ai quali seguivano conversazioni brevissime, stringate. I passeggeri sceglievano di dormire, ancora per un po'. Il controllore non si vedeva: forse anche lui dormiva...
A voce bassa, per non disturbare, scambiavo qualche parola con mia sorella. Era l'unica forma di comunicazione all'interno dello scompartimento. Poi la stazione zeppa di gente: tanta e di tutte le razze. La metropolitana che vomitava persone a getto continuo in un frastuono di rumori diversi, assordanti. Il suono delle voci ricacciato in gola mentre si corre, si corre - Dio sa dove - badando solo che non ti scippino la borsetta, non ti facciano cadere, non ti rubino il posto passando davanti nella fila - l'ennesima - in cui ti trovi ingabbiato.
Io, con le mie mani impacciate, malate, rallento la corsa. Sento salire il fastidio, qualcuno sospira, seccato. Sbuffa. A me cade il bastone, quello che si china a raccoglierlo sembrerebbe dallo sguardo più incline a spaccarmelo sulla testa - per eliminarmi, e non solo dalla coda che si va allungando a vista d'occhio - che a porgermelo per permettermi di stare in piedi. Mi scuso. Lui non risponde: sarebbero male parole.
Dove sono quei ragazzi che davano una mano alle vecchiette maldestre? Forse soltanto sui sillabari delle elementari, ammesso che esistano ancora i sillabari...
Arranco tra scale con elevatori non funzionanti, semafori per "normali" - che non prevedono i miei tempi da anatra azzoppata - e piazze che ricordavo ampie e ora mi appaiono sterminate. I ricordi mi aggrediscono dietro ogni angolo, riportandomi a tempi lontani.
Il dentista è velocissimo.
"Se ci sbrighiamo - si fa per dire - potremmo riuscire a prendere il treno dell'una e trenta" dice mia sorella. Avrei voglia di vedere "la piccola", ma le farei attraversare tutta la città nell'ora di punta... un panino rosicchiato in fretta, in macchina. Per vedere questa madre a brandelli?
Come un soldato durante la ritirata dal Don, mi rimetto in marcia.
Sono mortalmente stanca.
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