Ho riletto Anna Karenina... Perché proprio quel libro a farmi compagnia in queste giornate sempre più corte, scure, fitte di nebbia che avvolge case, colline e pensieri? L'avevo letto anni fa: al mio fianco un uomo che pensavo mi amasse di un amore della stessa qualità del mio - perchè, e già allora lo sapevo, esistono tanti tipi d'amore - nella mia casa la baraonda di tre figli adolescenti, faticosissimi ma vivi, frizzanti e feschi come l'acqua di un ruscello estivo.
L'avevo divorato in fretta quel libro, con quella velocità da folletto che allora caratterizzava il mio modo di leggere, rubando ore al sonno, seguendo soprattutto la storia di Anna, la bellissima, spavalda Anna che alla passione tutto sacrifica, circondata da un mondo falso, stantio, imbalsamato e, apparentemente, immobile.
Mi aveva colpita che uno scrittore, un uomo, avesse potuto tratteggiare con tanta abilità una figura femminile, dimostrando una conoscenza del "sentire" di una donna così profonda. Amiamo tutti, uomini e donne, ma in modo diverso.
Tolstoj analizza l'amore, inserendolo non solo all'interno di una società che lo imbriglia e lo codifica, ma anche all'interno di caratterialità diversamente sfaccettate. Chi l'avrà tenuto per mano in questo suo percorso di conoscenza, oltre alla sua capacità di scandagliare l'animo umano? La moglie? La madre? Un universo femminile non solo sfiorato ma penetrato con lo sguardo acuto di uno scrittore geniale?
Tolstoj si ferma, basito, solo di fronte al mistero della nascita: il parto della moglie è descritto con occhi e sensibilità (e terrore) maschili. La descrizione che ne fa è puramente fisica: la donna che partorisce non è più la "sua" donna, è carne strappata e urlante, che si sdoppia dando vita a un fagottino rosso, dal pianto stizzito che lo spaventa e lo allontana. La paternità è fatta di un'altra pasta, è un'acquisizione lenta, legata alla frequentazione, è candela che si accende, fiamma tremula che soltanto nel tempo diventerà incendio. Ma anche la maternità non è la stessa per tutte le donne; Tolstoj infrange il tabù: la passione femminile può sfiorare e modificare il sentimento materno. Anna non ama la figlia avuta dall'amante e - quel che è peggio - non lo nasconde agli altri e soprattutto a se stessa. Anna vive e mostra tutte le sue contraddizioni...
Sullo sfondo la Russia, con i suoi contadini, la nobiltà e l'esercito, i funzionari dello Stato, i salotti, le dame incipriate, i club esclusivamente e rigorosamente maschili. Un mondo che non è immobile, se non agli occhi di chi non vuole cogliere i segnali di un cambiamento che tenta di farsi strada. Intorno ad Anna una folla di personaggi: abilmente descritti e che, ad eccezione del giovane, dubbioso, tormentato Levin (che mi fa pensare a Tolstoj) fa da cornice (perfetta) al personaggio che dà il nome al romanzo.
In Anna lo scrittore racchiude ed esalta la femminilità esasperandone la bellezza, il fascino intrigante, il bisogno di possesso, la dipendenza, gli inganni, il gioco perverso dei ricatti...
Cosa vuole Anna? Vuole l'amore di quel bellissimo ufficiale che incontra in una stazione ferroviaria e che, spudoratamente, la corteggia? O vuole l'uomo, tutto intero, con le sue passioni, la sua mascolinità, il suo mondo che a lui concede ciò che a lei non darà mai? O vuole essere amata di un amore eguale a quello che lei è in grado di dare? Vuole l'imposssibile Anna? Vuole stabilire le regole del gioco, ma (non paga) vorrebbe anche cambiarle?
E sarà questo a perderla?
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