Koufonisi aveva
trovato scritto su Facebook sotto una macchia d'azzurro e l'onda dei ricordi era
arrivata come uno tsunami. Koufonisi, il suo primo impatto con la Grecia.
Una sorta di barcone l’aveva scodellata sulla spiaggia, assieme a due
capre, qualche turista e un anziano del posto che accompagnava una barella su
cui languiva, più morta che viva, una vecchia avvolta in un vestito nero che
sembrava un sudario. Sul fondo della barca erano stati stipati sacchi, damigiane
e valigie legate con lo spago, in quantità tale da farle ritenere miracoloso
che con quel carico il barcone fosse riuscito a raggiungere la riva senza
sprofondare. Era partita con un'amica e le figlie.
Sull'isola
pochissimi turisti, le solite onnipresenti capre, quattro ragazzotti seduti sui
gradini della chiesa a seguire con gli occhi le ragazze, e qualche vecchio a
bere uzo nell'unico bar del paese, anche se ci voleva un bel coraggio a chiamare paese quella spruzzata di case. Circondata dal mare che l’isolava dal mondo, battuta dal vento, che
strappava profumi d’oriente a quei cespugli bassi ai quali bastava un pugno di
terra tra le rocce per mettere radici, l'isola era di una bellezza sconvolgente, quasi
irreale, come i luoghi che popolano i sogni.
Una mattina, mentre
passeggiavano sulla spiaggia deserta, avevano incontrarono una zingara: nera di occhi e
di capelli, indossava una gonna scura, lunga, e un giubbetto coloratissimo. Al
collo, ai polsi e alle caviglie, a ogni suo passo, tintinnavano monili che il sole faceva brillare. Immotivato, un lungo brivido le aveva percorso la
schiena.
"Liberiamocene!" aveva borbottato l’amica, cercando nella borsa che teneva a tracolla degli spiccioli, ma la donna, che ormai le aveva raggiunte, facendo un cenno di diniego con la
testa, le aveva già afferrato una mano, rivoltandola sul palmo. Un'occhiata ai segni che la percorrevano... rapida, prima di rialzare la testa e guardarla, in silenzio, mentre lei avvertiva il
soffio del vento sulla pelle e di nuovo rabbrividiva.
"Lasciala
perdere; vuole leggerti la mano" le aveva detto l'amica, aggiungendo a bassa voce:
"Vuole soltanto spillarti un po' di soldi".
"Capisci le
sue parole?" lei le aveva chiesto.
"Un po'..." le aveva risposto.
La zingara stava ora sussurrando qualcosa ma, improvvisamente, sembrava incerta. Esitante. Aveva abbassato lo sguardo
e ora sembrava fissare l'impronta che il suo piede aveva lasciato sulla sabbia.
"Allora?" lei aveva chiesto interrogativa.
La zingara aveva alzato la
testa e mosso un passo, facendole capire che aveva deciso di andarsene.
La razionalità si era scontrata in lei con qualcosa di arcaico, lontano. Indefinibile. Al suo fianco
l'amica diceva qualcosa che lei non ascoltava.
"Dille... che
la pagherò"
"Vuole il
vestito che indossi. Non vuole denaro."
Ormai una specie di
frenesia si era impossessata del suo cervello. Volevo sapere... Cosa voleva
sapere?
Si era sfilata l'abito di
dosso: era un vestito zingaresco, rosso fuoco; la gonna a balze si era gonfiata di vento, la camicetta le era sfuggita di di mano, volando come una nuvola. La zingara aveva alzato gli occhi, il vento aveva smesso di soffiare. Di
colpo. Il vestito ondeggiando nell’aria era caduto ai suoi piedi.
Si era chinata a
raccoglierlo, prima di parlare di nuovo.
"Ha tre
figli" aveva tradotto l’amica.
Giusto!
"La polizia
verrà a casa sua a comunicarle una disgrazia... "
Si sarebbe rivelata
un’informazione corretta.
Le aveva snocciolato,
davanti a quel mare che mormorava il canto senza fine dell'acqua, tutto il suo
futuro...
"Se perderà
questo semino – e guardandola negli occhi le aveva deposto sul palmo della mano aperta un seme color
sabbia - avrà una vecchiaia funestata da una malattia incurabile... "
L'aveva vista allontanarsi lungo la spiaggia, la macchia rossa del suo vestito tra le braccia,
l'orma dei passi cancellata immediatamente dall'acqua. Era scomparsa, mentre il
semino le scivolava dalla mano, confondendosi con la sabbia.
L'aveva cercata i giorni
successivi; nessuno l'aveva vista, nessuno la conosceva, soltanto una vecchia
cieca, che parcheggiavano sotto un pergolato, le aveva detto: "Ho sentito il
tintinnio dei suoi monili quando mi è passata accanto... viene una volta
all'anno, il giorno del solstizio d'estate. Un anno si veste di nero, un anno
di rosso e… svela un destino. Indossa abiti bellissimi... A me predisse la
cecità".
"Tutte
superstizioni" lei aveva mormorato, stringendosi inquieta nello scialle.
"A me chiese
un abito nero…” aveva continuato, a bassa voce, l’anziana cieca.
"Non
l'ascolti, non ha più il cervello a posto! Taci nonna!" aveva gridato aspra, in uno stentato
italiano, la nipote all'anziana donna, dallo sguardo perso nel vuoto
Lei si era chinata all'altezza
dell'orecchio della vecchia e le aveva sussurrato : "Il mio... era rosso!"
“Perché proprio a
me? “ si sarebbe chiesta tanti anni dopo, senza mai trovare una risposta.
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