“Scrivi su
un muro” dice Carlo, lasciandosi andare a complimenti esagerati che mi
imbarazzano … E poi Harry, Mirella, Antonella, e tanti altri. Anche mia madre,
prima di morire, me lo disse, quasi me lo raccomandò. All’ospedale, dove era
stata ricoverata per un infarto, mi bisbigliò: “Scrivi, Laura, scrivi … “ prima
di andarsene.
La mia
storia con la scrittura è a tutti gli effetti una storia d’amore. Un amore
tormentato, negato, distruttivo, ma, senza ombra di dubbio, un grande amore, una
passione …
Ho iniziato
a scrivere tardi, dopo essermi ammalata. Ho alle spalle quaderni di scrittura
diaristica, gettati nell’immondezzaio a ogni trasloco. Sfoghi, nulla di più: da
quelli adolescenziali a quelli di madre, di donna che scopriva il femminismo,
di donna malata, di donna invecchiata, scivolata lungo il crinale della vita
senza mai chiudere gli occhi, fissando nei volti di chi mi stava accanto i
segni delle emozioni che rendono vivibile o invivibile l’esistenza …
La scrittura
di oggi la devo alla malattia, a quello tsunami di emozioni che ha infranto,
finalmente, il muro di riserbo, la timidezza, il pudore di apparire per ciò che
si è veramente. Quante volte mi sono chiesta “Scribacchina o scrittrice?” senza
essere in grado di dare/darmi una
risposta…
Ho nel
cassetto un romanzo finito, ciò che resta di uno gettato alle ortiche, un
racconto lungo, tanto lungo da diventare un romanzo breve, e poi il romanzo
quello che avrei potuto, forse?, scrivere se fossi stata in grado di finirlo.
Mi ha fermato la malattia, la sua avanzata di marea nera che tutto sommerge e
cancella. Il mio romanzo è come un gattino nata troppo tardi, a inverno iniziato
… Per questo motivo, amici miei, godetevi ciò che scrivo come vi potreste
fermare a guardare un graffito sul muro di una casa, godendovelo come fareste
con una rosa sbocciata a novembre, inaspettata. Totalmente inaspettata e
sorprendente … Coglietela e via…
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