Sigismondo, il volto livido, le labbra tirate camminava lungo il corridoio, il passo lungo e teso
che aggrediva il pavimento, rimbombando nel silenzio che sembrava gelare la casa.
Teresina lo seguiva, tremante, borbottando preghiere.
Entrati nello studio, il padrone chiuse la porta e si rivolse alla donna:
“ Lo sapevate?”
Lei scosse la testa.
“ Diremo a tutti che una delle gemelle è morta poco dopo il parto. Tu vai a vestirla, avvolgila in un panno e portala nel mio studio”.
Teresina esitava, balbettante: ”Cosa dirò alla…padrona?”
Sigismondo, contenendosi a stento, sibilò: “Obbedisci, prima che ti scaraventi fuori di casa a calci…” e vedendo la serva che davanti a lui si stropicciava le mani sempre più agitata, urlò: “Fai quello che ti ho detto. Muoviti, vai! Cosa aspetti? La carrozza?”
Teresina uscì in fretta, chiudendosi la porta dello studio alle spalle, ma non aveva fatto che pochi passi quando la voce del padrone la raggiunse “ Fai venire la levatrice nel mio studio!” Poi, nel corridoio, dopo il rumore della porta sbattuta con violenza, il silenzio riprese il sopravvento.
La serva entrò nella camera da letto della padrona e dopo essersi avvicinata al letto, scoppiando in un pianto dirotto, tra i singhiozzi che le impedivano quasi di parlare, riferì quanto le era stato detto.
Maria mormorò qualcosa e la levatrice le disse: “ Vi conviene obbedire! Cosa fareste con due neonate da sola. E con questa bambina che denuncia la vostra colpa…”
“ Datemi una vestaglia, devo parlare con mio marito” e Maria, barcollando cercò di alzarsi in piedi, ma un violento capogiro la costrinse a stendersi nuovamente sul letto. Approfittando della confusione, Teresina scivolava fuori dalla stanza con la levatrice, portando tra le braccia la piccola mulatta.
Le due donne bussarono alla porta dello studio. Dall’interno si udì un certo tramestio e quasi immediatamente la porta si spalancò, lasciando uscire Sigismondo che, afferrato il fagotto, si rivolse alla levatrice dicendo: ”Aspettatemi nello studio. Sarò di ritorno tra poco…Vi invito a tacere, altrimenti…” e non concluse, lasciando che quella minaccia aleggiasse nell’aria, sinistra, gelando la donna. Poi, in tutta fretta, si diresse verso l’ingresso della casa. Si udì la sua voce che chiamava il cocchiere e lo stridio delle ruote della carrozza.
Le due donne tornarono nella stanza di Maria. La giovane donna era riuscita a trascinarsi fino alla finestra, che aveva spalancato appena in tempo per vedere la carrozza del marito allontanarsi in direzione del porto.
“ Dove la sta portando?” gridò volgendosi verso le due donne appena entrate. “ Avrà ben detto qualcosa! Vi supplico, vi supplico, cosa intende fare!”
“ Non lo sappiamo. E’ inferocito, ha minacciato anche la levatrice” sussurrò Teresina.
“ Per quello che mi riguarda io sarò muta come un pesce morto…Aveva una faccia da far paura,
e, ora, mettetevi a letto. Pensate a questa creatura che vi è rimasta e a voi. Calmatevi, su calmatevi e cercate di non avvilirvi troppo. Potreste perdere il latte…” e, così dicendo la levatrice, presa la bambina, la avvicinò alla madre.
Maria la prese tra le braccia e, per un istante, il suo viso si distese, mentre incredula con la punta di un dito scostava il panno e si chinava a baciare la figlia. Poi, dopo averla attaccata al seno, mentre la neonata succhiava, si addormentò, sfinita, viso che si rasserenava, distendendosi, nella tregua del sonno.
Teresina prese la bambina, la cambiò e la depose nella culla, accanto al letto della madre.
Poi le due donne, in punta di piedi, uscirono dalla stanza e raggiunsero lo studio del conte.
Si sedettero e attesero.
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