Era nato nel 1940, oggi avrebbe compiuto sessantanove anni il giudice Paolo Borsellino. Forse li avrebbe festeggiati in famiglia, con la moglie, con i figli, l'immancabile sigaretta accesa tra le dita. Sarebbe stato sufficiente farsi spostare in qualche ufficio tranquillo a occuparsi di immigrati e lasciar perdere la mafia e il fumo. E invece ha continuato a fumare, per tenere a bada la paura, l'angoscia per quel botto che sapeva sarebbe arrivato, per scacciare dalla mente quelle macchine accartocciate, il sangue sui corpi a brandelli...E il dolore che si tinge di rabbia.
Paura, dolore e rabbia, una mescolanza di sentimenti che quel suo sguardo esprimeva, perché il giudice Borsellino era un uomo normale che voleva soltanto alzarsi al mattino, prendere il caffè e fare due chiacchiere con il barista prima di andare in ufficio. Impegnarsi nel proprio lavoro, assaporando l'orgoglio di chi lavora bene. E, nelle sere chiare e assolate in quella sua Palermo carica di Storia e bellezza, tornarsene a casa, i ragazzini che non rispettano la stanchezza, la moglie che ride nella cucina che sa di basilico fresco. Era un uomo normale il giudice Paolo Borsellino inserito in un contesto che di normale non aveva e non ha nulla.
Come il suo amico e collega, il giudice Giovanni Falcone, voleva un Paese normale. Per questo
motivo sono stati assassinati. Mandanti sconosciuti! Come normalmente avviene nel nostro Paese.
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