Ecco!, c’era quasi riuscita a crearsi una postazione, una trincea: un ultimo tentativo, disperato, di stare ancora al mondo scegliendo, e non subendo, cosa essere e cosa fare, nei limiti rigidissimi di manovra che ancora la malattia le concedeva.
Aveva trascinato nella sua camera da letto– Dio solo sa come, attingendo a quali residue forze – un tavolino basso, bassissimo, stile finta “arte povera”, ripescato dal fiume di “rudo”che si riversa di notte su Milano, infilandoci sotto un materassino per fare ginnastica, un mare di cuscini e cuscinetti per sorreggerle la schiena e – oplà – il suo occhio sul mondo, il suo pc, si era acceso e, ora, poteva sbirciare, guardare…
Poteva “comunicare”, di nuovo, in quel mondo di parole e immagini, liberandosi dalla prigione del corpo, dallo strapotere della carne che l’aveva imbrigliata in quel terribile inverno. Aveva passato la mattinata a cambiare prese, aggrovigliare fili, rimuginando rabbia e dolore… Sola come sempre si è soli nei momenti peggiori, quando nessuno capisce di cosa potresti avere bisogno per tentare di uscire da solitudini nere come pozzi in cui persino la luna d’inverno si rifiuterebbe di specchiarsi.
E ora il calore della Rete l’avvolgeva, ora fluttuavano palloncini color arancio, ora i leghisti erano più verdi delle loro camicie e i berlusconiani deglutivano incertezza, l’arroganza che si sfaldava colando come trucco sfatto sui loro volti di servi già pronti a rinnegare il padrone.
E ora ritrovava il miracolo della Rete e, anche se la schiena le faceva male e le gambe si erano intorpidite, sentiva soffiare quel vento nuovo che aveva un profumo dimenticato, un profumo insolito, giovane e fresco: il profumo della speranza.
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